AGI – Scoperto un biomarcatore associato all'aggressività del Covid-19, descrivendo uno dei potenziali meccanismi responsabili della sua morbidità e mortalità, oltre a costituire un importante parametro predittivo di evoluzione della malattia sul singolo individuo. Arriva da Milano la notizia di uno studio che porta all'identificazione della sfingosina-1-fosfato quale molecola che gioca un ruolo chiave nell'infezione da Sars-CoV-2. La ricerca portata avanti da un team multidisciplinare di esperti, guidato da Giovanni Marfia e coordinato da Stefano Centanni e Laura Riboni, è frutto di una stabile collaborazione tra l'Università degli Studi di Milano, il Policlinico di Milano e l'Aeronautica militare con l'Istituto di Medicina Aerospaziale di Milano. Lo studio è stato condotto su 111 pazienti.
Come spiega Marfia, del Laboratorio di Neurochirurgia Sperimentale e Terapia Cellulare del Policlinico di Milano e Medico del Corpo Sanitario Aeronautico, "bassi livelli circolanti di sfingosina-1-fosfato sono indicativi di una aumentata probabilità che s'instauri un grave quadro clinico, che richieda il ricovero in terapia intensiva del paziente, oltre a indicare un'aumentata probabilità di esito sfavorevole e quindi di decesso. I dati analizzati ci hanno consentito di determinare un valore soglia di sfingosina-1-fosfato, misurabile dopo un prelievo ematico già al momento della manifestazione dei primi sintomi, sotto al quale aumenta l'incidenza di complicanze e danno severo a diversi organi tra cui polmoni, fegato e rene".
Lo studio dimostra come il dosaggio di questo marcatore al momento della positività all'infezione o all'accesso in pronto soccorso attraverso un semplice prelievo ematico possa consentire di stratificare i pazienti in funzione del rischio individuale e introdurre interventi terapeutici tempestivi.
La sfingosina-1-fosfato – spiega Laura Riboni, professore Ordinario di Biochimica dell'Università degli Studi di Milano – è un biomodulatore chiave in molti processi cellulari vitali, tra cui lo sviluppo e l'integrità vascolare, il traffico linfocitario ed i processi infiammatori. Quando i livelli circolanti di sfingosina-1-fosfato diminuiscono, s'instaura un danno vascolare e un'alterata risposta del sistema immunitario che determina un eccessivo e persistente stato infiammatorio.
Il ripristino dei livelli fisiologici di sfingosina-1-fosfato può rappresentare una strategia utile a ridurre il rischio di progressione infausta del quadro clinico in pazienti con Covid-19 ed anche ad indurre un'efficace risposta immunitaria dopo vaccinazione.
"Lo studio, tutto italiano – sottolinea Stefano Centanni, direttore del Dipartimento di Scienze della Salute e della UOC di Pneumologia dell'ASST Santi Paolo e Carlo – potrebbe avere risvolti importanti, in quanto la sfingosina-1-fosfato può essere utilizzata come marcatore prognostico e di monitoraggio per l'andamento della malattia, permettendo una più precisa classificazione dei pazienti e la concretizzazione di interventi precoci".
Un altro risvolto importante di questo studio è che la sfingosina-1-fosfato può essere considerata un nuovo bersaglio terapeutico, sia in termini di ripristino dei normali livelli circolanti, sia nel potenziamento dei protocolli terapeutici in quei pazienti a più alto rischio, consentendo anche una migliore allocazione delle risorse sanitarie. "Siamo orgogliosi del team di ricerca che si è creato e che ha portato a questo importante traguardo", spiega Giuseppe Ciniglio Appiani, attuale Capo del Servizio Sanitario dell'Aeronautica militare. "Come rappresentanti delle forze armate abbiamo partecipato attivamente a servizio del Paese per la gestione dei focolai Covid-19 durante le fasi più critiche dell'emergenza in Lombardia. Ci fa onore essere riusciti a contribuire a questo importante studio scientifico che potrà sicuramente avere un impatto rilevante nella gestione dei pazienti Covid-19". I risultati della ricerca sono resi noti alla comunità scientifica, grazie alla pubblicazione su una rivista autorevole come EMBO Molecular Medicine.
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