Il 21 novembre 2019 a Milano un bambino di 4 anni che frequenta la scuola materna si ammala di tosse e raffreddore. Non è il solito malanno di stagione. Il 30 novembre arriva in pronto soccorso al Policlinico perché vomita e fatica a respirare. Il giorno dopo la pelle si riempie di bollicine e il 5 dicembre gli viene fatto un tampone in gola: il morbillo che i medici sospettano si rileva così. Ma non è quella la diagnosi giusta. In ogni modo il bambino guarisce e il cotton fioc, come è prassi, viene conservato nel freezer a meno 80 gradi nel laboratorio dell’università, che funge da sentinella per la diffusone del morbillo. Oggi, a quasi un anno di distanza, un gruppo di ricercatori dell’ateneo si chiede: e se fosse stato Covid?
Trentanove campioni vengono ripresi dal gelo, risalenti al periodo settembre 2019-febbraio 2020. Trentotto sono negativi, ma il tampone del bambino no. In quel cotton fioc, più di un anno fa, c’era già il coronavirus, ceppo di Wuhan. L’esame effettuato nel laboratorio dell’università da Elisabetta Tanzi e Antonella Amendola è lo stesso tampone molecolare che viene usato oggi per le diagnosi dei positivi. Nessun test è sicuro al 100 per cento, ma quello è il più preciso che abbiamo e rileva direttamente l’Rna del coronavirus, non (come nel caso degli esami del sangue) gli anticorpi che potrebbero reagire anche a contatto con virus simili. La ricerca, firmata anche dal preside di Medicina dell’università di Milano Gian Vincenzo Zuccotti, è stata pubblicata sulla rivista internazionale Emerging Infectious Diseases e sul sito dei Centers for Disease Control (Cdc) americani.
“Né verosimilmente può essere un caso di contaminazione di laboratorio” ragiona Mario Raviglione, anche lui autore dello studio, professore di Salute globale all’ateneo milanese e alla Queen Mary university of London. “Quel laboratorio è stato chiuso a marzo e non ha mai fatto analisi di tamponi Covid”. In Francia, in modo simile, il tampone di un uomo raccolto il 27 dicembre era stato conservato e scoperto positivo mesi dopo. “L’esplosione che il coronavirus ha avuto in Nord Italia a fine febbraio – secondo Raviglione – è perfettamente compatibile con un’infezione già in circolazione da settimane o mesi”. L’analisi filogenetica dei virus sequenziati finora fa pensare a una comparsa di Sars-Cov2 a ottobre-novembre in Cina. A questo risultato si arriva disponendo tutte le sequenze dell’Rna dei coronavirus trovati nel tempo lungo un albero genealogico. Risalendo indietro lungo i rami, è possibile ricostruire anche le radici e stimare il momento della comparsa di un nuovo virus nell’uomo.
“Per avere i primi sintomi il 21 novembre – prosegue Raviglione – il bambino si è probabilmente contagiato 4 o 5 giorni prima. Né lui né la sua famiglia avevano viaggiato. Quindi il coronavirus era già presente in Nord Italia a metà novembre, confuso con i sintomi dell’influenza”. L’Istituto superiore di sanità, con un’analisi di giugno coordinata da Giuseppina La Rosa, aveva trovato il genoma di Sars-Cov2 anche nei vecchi campioni delle acque reflue prelevate a Milano e Torino il 18 dicembre 2019 e a Bologna il 29 gennaio 2020. “Speriamo che altri laboratori – conclude Raviglione – abbiano adesso la stessa idea di riprendere i vecchi tamponi e testarli per il coronavirus. Potremmo così ricostruire una mappa più precisa dell’arrivo dell’infezione in Europa”.
Original Article
Commenti recenti