NANCHINO – L'identità comincia dal nome: vale per le persone ma anche per le squadre di calcio. Ecco perché la nuova regola che la Superlega cinese vuole introdurre dal prossimo anno sta provocando vibranti proteste, da parte dei club e dei tifosi. L'Associazione calcio cinese ha deciso che dal 2021 i nomi delle squadre della Superlega dovranno essere neutri, cioè privi di marchi aziendali, quelli degli sponsor o quelli dei proprietari. Il problema è che mettere il nome dell'azionista in quello della squadra è un'antica e diffusa consuetudine in Cina: tra le squadre della lega maggiore solo una, Dalian Pro, al momento è "neutra", mentre le altre si chiamano Jiangsu Suning, colosso dell'elettronica proprietario anche dell'Inter, Guangzhou Evergrande, gigante dell'edilizia, o Beijing Guoan, che letteralmente vuol dire "sicurezza nazionale" ma è una succursale dell'azienda fondatrice Citic. Appellativi in alcuni casi rimasti uguali per decenni e quindi entrati nell'identità del club: "Siamo orgogliosi del nostro nome", recita il manifesto siglato dai tifosi di cinque squadre, tra cui quelle della capitale e di Shanghai, che chiedono di cancellare la regola.
L'Associazione calcio però sembra intenzionata a tirare dritto. Questa norma sulla neutralità dei nomi fa parte di una più ampia riforma del calcio cinese all'insegna dell'austerità. Dopo le spese pazze di inizio anni '10, con conseguenti spettacolari fallimenti, il governo si è convinto che il settore andasse reso più solido, introducendo delle regole. La Lega ha già fissato da un anno un tetto agli stipendi dei calciatori e rendere neutra l'identità delle squadre dovrebbe aiutarle a costruire dei "marchi" più forti, all'altezza di un Barcellona, un Manchester United o una Juventus, indipendenti dalle fortune del patron di turno o dai frequenti passaggi societari.
Anzi, nell'ultima riunione fatta con i club, qualche settimana fa, è stato ribadito che chi non si adeguerà in tempo sarà escluso dal prossimo campionato 2021. All'inizio sembrava fossero previste delle eccezioni, per esempio per i club il cui nome ha più di 15 anni di storia, come il Beijing Guo'an o lo Henan Jianye, se fossero riusciti a provare che l'appellativo era ormai entrato a far parte della cultura sportiva. Ora invece di esenzioni non si parla più, non è chiaro se ci saranno o meno.
Mentre i tifosi protestano, le squadre restano in silenzio. Solo una, il Guangzhou R&F, ha lanciato una consultazione online tra i tifosi per cercare un nuovo nome. L'alternativa che hanno davanti i club è limitarsi al nome della città, cosa possibile solo se non ci sono altre squadre locali, inserire l'anno di fondazione, oppure un soprannome come fanno per esempio le squadre degli sport professionistici americani. Tutte i team cinesi ce l'hanno già, per esempio i giocatori del Guo'an sono le "guardie imperiali", quelli del Guangzhou le "tigri della Cina meridionale", ma finora erano solo appellativi e come nomi ufficiali rischiano di suonare ridicoli.
È chiaro che nel lungo periodo un nome "puro" è preferibile. Ma il paradosso è che la norma, almeno nel breve periodo, rischia di provocare l'effetto opposto a quello desiderato: senza poter associare il marchio della propria azienda a quello della squadra, magnati e sponsor cinesi avranno un ritorno di immagine inferiore dal pallone e quindi potrebbero essere disincentivati a investire, togliendo ulteriore stabilità finanziaria a squadre già fragili. Anche in Corea del Sud e in Giappone i team integrano i nomi aziendali in quelli ufficiali, senza troppi problemi. E alcuni fanno notare che in Cina c'è un altro problema, cioè che i proprietari, per cercare mercati più ricchi, sono liberi di trasferire una squadra in un'altra città, anche a migliaia di chilometri di distanza. Alla faccia dell'identità.Original Article
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