Premette che è “atto dovuto”. Specifica che “non equivale né ad essere imputato di reato, né tanto meno essere stato già condannato”, ma finisce per ammettere di essere indagato e di essere già stato interrogato il consigliere comunale di Reggio Calabria, Massimo Ripepi, autosospesosi da Fratelli d’Italia dopo essere finito al centro delle polemiche per aver indotto una coppia a non denunciare gli abusi sessuali subiti dalla figlia di soli 8 anni. Una circostanza emersa dal decreto di revoca della responsabilità genitoriale alla coppia e di allontanamento della minore, che Ripepi insiste a bollare come basato sulle dichiarazioni della madre “assolutamente false sulle quali io posso riferire perché avvenute alla mia presenza e con il mio diretto coinvolgimento”.
di
Alessia Candito
Lui sarebbe solo "vittima della donna", che disperata per aver perso l’affidamento della figlia avrebbe cercato in lui un capro espiatorio e di un massacro mediatico, una condanna previa “sotto tutti i punti di vista: giuridico, sociale e morale, con diretto coinvolgimento non solo della mia persona in quanto tale, ma anche della mia fede, della mia storia di azione sociale e politica”. Giura che “cercai sempre, nel limite delle mie possibilità, di preservare la piccola bambina da ulteriori eventi traumatici e la famiglia da giudizi infondati” e assicura che “seppure oggi io (e con me la mia famiglia) viva un biasimo collettivo, non mi pento delle mie azioni e delle scelte compiute sempre ispirate al bene della piccola e della sua famiglia. Per questo ancora oggi, nonostante l’accaduto, nel mio cuore c’è un bellissimo ricordo della bambina e di questa famiglia”.
Una bacchettata la riserva al giornalismo a suo dire animato dalla “necessità di sbattere in prima pagina e in testate giornalistiche on line (la cui traccia rimarrà indelebile), nell’intento di colpire un politico, particolari intimi riguardanti il racconto di una bambina che tra qualche anno in coscienza vedrà la propria triste vicenda riportata in modo così crudo con dovizia di particolari, costretta a rivivere il trauma in modo amplificato dalla consapevolezza che è stato oggetto di così tanta diffusione mediatica”.
Per Ripepi, sarebbe toccato ai giornali “risparmiare in futuro cotanta ulteriore sofferenza ad una innocente”. E poi aggiunge, ingiusto è quello che considera “l’attacco indiscriminato alla fede di una intera comunità cristiana che si vede privata, a causa della pressione mediatica, della libertà di professare la propria religione senza essere apostrofati come “setta” mentre al contrario trattasi di una associazione estremamente trasparente, aperta a tutti e dalla quale entrano ed escono centinaia di persone senza vincoli né restrizioni”.
Così parla – anzi scrive dopo aver rinunciato ad una conferenza stampa precedentemente annunciata – il politico Massimo Ripepi. Ma da pastore di un movimento cristiano personalissimo e “homemade”, riferiscono voci interne alla comunità, i toni sono ben differenti. E lì lui è “l’Unto”, “Massimo Cristo”, “Papà”. Per una comunità di oltre 200 adepti che frequentano abitualmente, in parte vivono nelle strutture della chiesa “Gesù Cristo è il signore” o”chiesa di Catona come la conoscono i più”, oppure lavorano nelle cooperative ad essa direttamente o indirettamente legate, Ripepi è l’apostolo di dio in terra, un prescelto, la cui autorità o parola non può essere messa in discussione.
Non è un “ministro di culto”, si affanna a spiegare lui stesso urbi et orbi, ha rinunciato da tempo – giura – all’incarico formale che lo avrebbe reso incompatibile con l’incarico di consigliere comunale che ininterrottamente svolge dal 2007 prima sotto le bandiere del suo movimento politico, Pace (Patto cristiano esteso), poi sotto quelle di Forza Italia, per finire in ultimo in Fratelli d’Italia. È un semplice pastore che si occupa di dottrina.
Ma il suo gregge lo segue compatto e anche sui social si scatena per raccontarlo come “un uomo integro che ha fatto solo del bene”. Chi lo critica, sono “avvoltoi” e “sciacalli”, la notizia sugli abusi taciuti viene bollata come un’arma per distruggerlo politicamente o meglio, crocifiggerlo. Stessa immagine usata dal fratello del consigliere comunale, Roberto Ripepi, suo braccio destro all’interno della comunità che su facebook scrive “più leggo il Capitolo 27 del Vangelo di Matteo e più sono consapevole di come anche mio padre Gesù Cristo è stato crocifisso da giusto in un contesto di ingiustizia, ipocrisia e falsità di uomini avidi di potere e di un popolo stolto fattosi ingannare dalle apparenze e dalle menzogne”. Parole che riecheggiano nei commenti di tanti.
“Non escluderei che a scriverle siano state sempre le stesse mani. Basta controllare i loro profili e verificare se anche in altre occasioni dimostrano la stessa proprietà di linguaggio” dice un ex adepto, che come tutti gli altri dalla comunità si è allontanato da tempo e non senza difficoltà. E come tutti continua ad avere paura di ritorsioni, aggressioni verbali, persecuzioni per sé e per la sua famiglia, per questo chiede l’anonimato e di nascondersi dietro un nome di fantasia. “Adesso mi sento libero, ma quando sei lì dentro non capisci. È un sistema che finisce per assorbire la tua intera vita, taglia tutti i contatti con l’esterno, soprattutto se vivi all’interno della comunità” dice. A colpi di versetti del Vecchio e Nuovo testamento, la loro vita viene totalmente piegata al rafforzamento della chiesa, disegnata a immagine e somiglianza di Ripepi e delle sue ambizioni.
Formalmente, spiega Giovanni, lui non è il capo spirituale. Ci sono altri dieci “pastori anziani”, ma in realtà è lui ad avere in mano le redini della comunità. Mettere in discussione i suoi comandi, impossibile. “Lui è l’apostolo di dio, quindi dubitare delle sue parole vuol dire dubitare di dio – spiega con difficoltà un altro ex adepto, anche lui ancora terrorizzato – e tutti te lo ricordano, te lo fanno pesare. È una pressione impossibile da sopportare”. Adesso, secondo chi da poco ne è uscito, i seguaci strutturati sono circa 200. “Molti di noi li chiamano ‘depensanti’ perché quando sei dentro è come se fossi in una bolla. Qualsiasi cosa ti chiedano di fare è ‘per compiere la volontà di dio’”.
Basta il versetto giusto, brandito come un comandamento. “E tu ti adegui – spiega un’altra ex adepta, che a tutti i costi chiede di non fornire dettagli che permettano di riconoscerla – ti sembra normale e giusto fare così. Non te le devono imporre le cose”. Vale per i lavori. Nelle cucine dove si preparano i pasti per la comunità o per la pizzeria – ufficialmente sociale- che la struttura gestisce, nella struttura o nei terreni circostanti per la manutenzione, o per le innumerevoli cooperative più o meno direttamente legate. Vale per la decima, la quota mensile del 10% dei propri ingressi che ogni fedele deve versare. “Anche se non ce la fai, se la tua pensione è minima lo senti come dovere morale. Prendo 289 euro, la mia quota non la facevo mancare mai. E nessuno mi ha mai detto ‘lascia stare’. Ma per me era giusto”. E quando non è così basta la riprovazione del gruppo, agitata da qualche parolina lasciata cadere nel sermone per aizzare la comunità contro qualcuno.
Lo sa bene una donna che ha deciso anni fa di lasciare la comunità e ha pagato quella scelta con una vera e propria persecuzione, una campagna di odio costruita sermone dopo sermone, durante i quali veniva definita "Satana", "figlia di Satana", "Jezabel", "Killer di anime". Queste non sono che alcune delle definizioni che sono costate a Ripepi, all’epoca candidato al Senato, un decreto penale di condanna per diffamazione e danno d'immagine, aggravato dalla pubblicità dei mezzi di diffusione, contro cui il politico-pastore ha fatto opposizione. In precedenza invece era stato raggiunto da un ammonimento del Questore dell’epoca, Raffaele Grassi, che in calce al provvedimento ricordava al politico-pastore "che a Reggio è disponibile il dipartimento di Salute mentale a cui potrà rivolgersi".
Stessa raccomandazione che si legge al termine di un secondo ammonimento, rivelano fonti vicine alle indagini, emesso dal Questore a tutela di un uomo, anche lui finito tra i “nemici della Chiesa di Catona”. E persino i cronisti che hanno osato raccontare la vicenda, a partire dalla notista politica del Quotidiano del Sud, Caterina Tripodi, sono diventati “nemici di dio” per i fedeli. “Ma quando sei dentro, non ti rendi conto di nulla. L’autorità del pastore è totale. Anche per mettere un po’ più di formaggio sulla pasta chiedevamo permesso”.
Il meccanismo di reclutamento è semplice. Spesso sono gli adepti ad agganciare i potenziali nuovi seguaci. Capita anche che ci si avvicini spontaneamente, sull’onda del bisogno, per lo più economico. L’identikit sempre uguale: per lo più si tratta di persone in difficoltà, magari sole, reduci da una crisi, un trauma o un lutto o con problemi psicologici ed economici importanti. All’arrivo in comunità, per i primi tempi diventano il centro delle attenzioni di tutti. Dai “soldati” agli anziani, fino a Ripepi che per tutti è il capo indiscusso “e per un po’ ti fa circondare da altri che si mettono a disposizione. Crea una rete e tu ti ci accomodi”. Poi si paga. Perché attorno alla chiesa c’è una rete di attività, cooperative, società in cui molti adepti lavorano, spesso a titolo volontario.
È parte dell’arcipelago dell’Acu, Azione cristiana umanitaria, messa in piedi da Gilberto Perri, l’originario fondatore del movimento. Funzionario di polizia e autoproclamato apostolo, aveva fama di benefattore e come tale da molti adepti e ex viene considerato, ma a suo carico risulta una condanna a dieci mesi con pena sospesa per aver falsificato note e relazioni di servizio per coprire un agente. Alla sua morte, la chiesa da lui fondata si è divisa in tre fazioni e per tre sono state divise anche attività e sedi. Per sorteggio – racconta chi da adepto ha vissuto quella fase – a Ripepi è toccata la più grande, tirata su da un terreno donato da una donna nei pressi dello svincolo autostradale di Calabro e costruita con il lavoro dei fedeli della comunità. Non è l’unico bene che sia finito in dote alla “chiesa di Catona” che a Ripepi fa riferimento.
Anche parte della rete dell’Acu è transita nell’orbita della comunità che attorno al politico-santone si stringe. A partire dall’istituto per la famiglia, in mano alla figlia del fondatore e cognata di Ripepi, Emmanuela Perri, associazione di protezione civile, sulla carta apartitica, aconfessionale, non lucrativa, che non ammette discriminazioni di sesso, razza, lingua, nazionalità, religione, ideologia politica, ma che come obiettivo ha quello di “recuperare la famiglia, stimolandola a riprendere il posto che le compete nella società con tutte le sue potenzialità e mediazioni culturali, affettive, sociali, economiche”. Propositi che fanno eco alle mozioni e proposte sulla “famiglia naturale” che Ripepi ha proposto più volte in Consiglio ed in un’occasione è riuscito anche a far approvare. In pancia alla comunità finisce anche la sezione 287 dell'Ipf, e l'eredità politica di Pace, il movimento politico fondato dall’autoproclamato “apostolo” Perri e che per la prima volta lo ha catapultato in Consiglio comunale, di cui è coordinatore nazionale, mentre è presidente nazionale del movimento Pace Italia da lui fondato nel 2014.
Ma il fiore all’occhiello – e principale strumento per intervenire nella società e ramazzare fondi pubblici – è la cooperativa “Turismoxtutti”. Presidente e faccia pubblica è Patrizia D’Aguì, moglie di uno degli anziani della comunità, lavoratori e volontari, sono per lo più adepti della chiesa di Catona. Spesso cammina in combo con l’Istituto per la famiglia, con cui spesso si presenta in Ats (associazione temporanea di scopo) quando partecipa a gare e progetti pubblici che spesso e volentieri si aggiudica. A dispetto del nome, il turismo è solo parte delle attività della cooperativa. Sullo scarno sito web, la cooperativa si dice pronta ad offrire i servizi più diversi dall’organizzazione eventi – come la Mediterranean Wellness, una sorta di meeting estivo del fitness, a sagre, passando per festival a tema fantasy organizzati nel castello aragonese della città – alla comunicazione, dal noleggio attrezzature all’edizione di libri e pubblicazioni. Fra le attività risulta quella dell’agenzia di viaggi e delle consulenze aziendali, più il supporto alla redazione di progetti e bandi pubblici. Secondo l’ultima relazione protocollata al riguardo, la cooperativa è anche fornitore certificato di Regione Calabria per pubblicità e accessori, organizzazione congressi, personale e servizi e non meglio specificati servizi vari.
Nel 2016, con iniziativa finanziata dal Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, ha organizzato due laboratori, uno di Giornalismo e uno Informatico e multimediale, per “giovani di età compresa tra i 14 e i 25 anni residenti nella Provincia di Reggio Calabria che vivono situazioni di disagio” in collaborazione anche con l’ente di formazione Uni PaceE (Università Popolare di Reggio Calabria), che ha sede esattamente allo stesso indirizzo della chiesa di Catona. Oggi quell’ateneo è ente di formazione accreditato presso Regione Calabria, come pure per i servizi al lavoro, Test center Aica per il rilascio delle certificazioni Ecdl, ente di servizio civile e dal giugno 2019 polo didattico del Centro Universitario Telematico “Associazione Nazionale Orizzonte Docenti”. Sul sito, propone una serie di corsi di laurea – da Giurisprudenza a Psicologia – che si appoggiano sulla piattaforma E-campus e corsi di formazione.
Nell’orbita di “Turismoxtutti” c’è anche una testata giornalistica, Veritasnews, di cui la cooperativa risulta editore. Chi sia il direttore sul sito non compare, ma almeno dal gennaio 2016 all’ottobre del 2016, quindi –svelano alcune note stampa di Turismoxtutti – nuovamente nel 2018 a guidare la testata è stato Enzo Tromba, ex politico transitato dai Ds all’Idv, di cui è stato segretario regionale, per poi scivolare sempre più verso destra, il cui nome salta fuori nel maxiprocesso antimafia “Gotha”.
Diversi testimoni lo raccontano come massone, persino fondatore di una loggia poi “dimessosi nel 2010”, ma di interesse investigativi sono diventate soprattutto le sue conversazioni con Paolo Romeo, già condannato come eminenza grigia dei clan De Stefano e attualmente imputato come elemento di vertice della direzione strategica della ‘Ndrangheta reggina. Gli investigatori li ascoltano mentre organizzano la “Festa del mare”, per i magistrati una delle kermesse con cui Romeo – accusato anche di essere il capo di una struttura paramassonica occulta – tesseva i legami con la politica, la grande imprenditoria e le istituzioni. Ovviamente, sul “quotidiano on line che scrive la verità” – questo il claim di veritasnews – non se ne trova traccia.
“Quando sei nella comunità, sei praticamente in un sistema chiuso – spiega un ex adepto – Ti muovi dentro questo perimetro e non ti sembra neanche strano”. E non sembra neanche strano lavorare per le campagne elettorali di Ripepi, perché la sua affermazione politica “è progetto di dio”. Per anni, l’afflato e l’impegno dei fedeli gli ha assicurato voti sufficienti per stare saldamente seduto in Comune, di cui durante l’ultima campagna elettorale prometteva di diventare vicesindaco in caso di vittoria del centrodestra, ma non a sufficienza per il Parlamento.
Adesso però in Fratelli d’Italia, dove era stato accolto a braccia aperte, con lui ha qualche difficoltà. Ha deciso di autosospendersi – prima che lo facessero d’ufficio da Roma dicono dall’interno – ma non è bastato a fermare quella che sembra in tutto e per tutto una sconfessione del commissario regionale del partito, Denis Nesci. “È fin troppo ovvio che ci troviamo dinnanzi ad un fatto che trascende la politica e da ogni valutazione ad essa connessa. Ci sono valori non negoziabili che nemmeno il semplice dubbio – ha sottolineato in una nota- può esimerci dal prendere le distanze da una vicenda che li mette fortemente in discussione”.
Del resto, per il partito di Giorgia Meloni in Calabria è l’ennesima tegola. Nel febbraio scorso, il consigliere regionale appena eletto, Domenico Creazzo, è stato arrestato per scambio elettorale politico-mafioso. Prima di lui era stato arrestato per associazione mafiosa l’astro nascente di Fdi, Sandro Nicolò. Nel cosentino, a San Giovanni in Fiore, l’ex vicesindaco Giovambattista Benincasa è stato coinvolto nella maxi-inchiesta antimafia Stige, con l’accusa di aver favorito l'imprenditore boschivo Pasquale Spadafora, ritenuto affiliato alla 'ndrangheta. Piccole frane che stanno diventando un crollo, proprio adesso che nel centrodestra si comincia a sgomitare per scegliere il nuovo candidato governatore per le prossime regionali.Original Article
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