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Recovery Plan, dietro lo scontro sulla cabina di regia c’è lo scontro tra burocrazie

Dietro allo scontro sulla cabina di regia che dovrebbe guidare l’attuazione del Recovery Plan c’è anche un forte contrasto tra burocrazie dello Stato. Ovvero tra la consolidata burocrazia dei ministeri e quella nascente di Palazzo Chigi. Naturalmente questo conflitto è solo una delle componenti del braccio di ferro politico all’interno del governo, ma il tema non va affatto sottovalutato e, negli ultimi giorni, soprattutto tra le leve delle burocrazie efficienti e tecnocratiche formatisi negli ultimi vent’anni alla scuola del rispetto dei vincoli europei e di Maastricht, e che sovente fanno riferimento all’area progressista, è scoppiato un malumore che ha fatto la differenza.
Il problema è che la bozza dell’emendamento, poi forse decreto, che istituisce la cabina di regia presenta una serie di snodi che di fatto mettono fuori gioco le burocrazie dei ministeri a tutto vantaggio di quelle nascenti di Palazzo Chigi.
Il primo tema è la nomina dei 6 manager che dovrebbero guidare le sei missioni della task force. La designazione viene effettuata dal comitato esecutivo (premier più due ministri di spesa) senza che il provvedimento preveda un profilo, né una selezione né tantomeno un concorso. Ci si affida al semplice intuitu personae.
Il secondo tema è costituito dai poteri dei sei manager. E’ la questione centrale. I sei, nominati dal comitato esecutivo di carattere politico, nel caso di inerzia o gravi ritardi possono esercitare un “potere sostitutivo”. Sostitutivo di chi? Dei “soggetti attuatori”, cioè dei vari ministeri.
Il terzo tema si lega al secondo ed ha aumentato il mal di pancia delle normali burocrazie. Come è evidente dunque il potere di mettere in atto, gestire e di fatto determinare i progetti del Recovery Fund, passerebbe con facilità dai ministeri alla nuova struttura di Palazzo Chigi. Qui i sei manager, per eseguire il lavoro di gestione, dovrebbero comporre e dar vita ad un organismo dai 90 ai 300 tecnici o funzionari, anche in questo caso scelti senza concorso e pescati nella pubblica amministrazione. Si metterebbe in piedi una squadra che, per quanto composta di bravi, giovani e competenti, avrebbe bisogno, si dice citando i manuali di management, almeno di un anno per cominciare ad agire in sintonia.
Il quarto aspetto riguarda le strutture di Palazzo Chigi che sono già gravate di molti compiti, da Investitalia alle nomine dei commissari per le opere pubbliche e per la sanità. Sarebbero in grado, ci si chiede nelle tecnocrazie di Stato, di farsi carico anche di questa ulteriore incombenza.
Ultimo elemento che bisogna pur prendere in considerazione. Il tetto agli stipendi: oggetto di una contesa pluriennale alla fine è stato fissato per le burocrazie dello Stato in 240 mila euro. La nuova struttura di Palazzo Chigi agirebbe invece in deroga. L’establishment si chiede perché e si prepara alla guerra.Original Article

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