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Quell’incontro tra il conte e l’enologo che fece nascere il Franciacorta

Franciacorta. Come mai una un angolo di Lombardia è stata battezzata con un nome che riporta ai cugini d'Oltralpe? Per spiegarlo, una teoria va indietro di secoli e secoli. Si narra infatti che Carlo Magno sarebbe stato costretto ad annettere alla Francia parte del territorio del bresciano in cui si trovava con le sue truppe, non potendo tornare in tempo in patria, come promesso, per festeggiare il patrono di Parigi San Dionigi.
Il racconto, per quanto suggestivo, pare sia solo una leggenda e l’origine più sicura del termine Franciacorta sembra piuttosto riferirsi alle “curtes francae”, cioè le piccole comunità di monaci benedettini insediate nell’Alto Medioevo nelle colline vicino al Lago d’Iseo. I più romantici vedranno comunque un filo che lega l’antica zona di monaci ai fratelli maggiori francesi, pensando che proprio a un abate benedettino, Dom Perignon, si deve l'invenzione del metodo champenoise che qui è stato adottato come chiave per il successo. E la terra rinominata “corta Francia” è poi diventata culla di uno dei migliori vini rifermentati italiani.

Tutto nacque da uno speciale incontro, che i suoi stessi protagonisti hanno definito magico, perché andava oltre la stima professionale e gli interessi imprenditoriali, toccando le affinità elettive: quello tra il conte Guido Berlucchi e un appena 26enne Franco Ziliani, neodiplomato alla scuola di enologia di Alba, chiamato per una consulenza, che poi è diventata un sodalizio fatto di intenti e visione comuni.
Per capirne la portata, bisogna fare un lungo salto indietro nel tempo, come racconta Cristina Ziliani, figlia di Franco, responsabile per la Comunicazione e le relazioni esterne, che con i fratelli Arturo e Paolo si occupa oggi della cantina.
“Gli antenati di Guido Berlucchi, i Lana de Terzi, si insediano in Franciacorta già nella seconda metà del ‘400 e come tanti aristocratici proprietari terrieri si dilettano nel produrre vino. L’ultimo della dinastia, Ignazio Lana De Terzi, non ha avuto figli maschi per questo il cognome non si è perpetuato, ma è rimasto nel palazzo ora sede dell’azienda, Palazzo Lana. Dimora appunto del discendente Guido Berlucchi. I Berlucchi, come attività principale si occupavano di bachi da seta. Ma il vino era un hobby appassionante, tanto che in azienda conserviamo alcuni registri vitivinicoli del 1879. Certo non era una produzione di rilevanza commerciale”.
Il nobile Berlucchi è abituato a fare al meglio tutto ciò che lo interessa: era il classico gentiluomo di campagna d’altri tempi, fumava la pipa, passeggiava coi suoi cani da caccia, guidava auto inglesi d’epoca, suonava il pianoforte.

E proprio il pianoforte resterà sempre nei ricordi di Franco Ziliani, che così lo racconta: “Il maggiordomo mi scortò nel salotto di Palazzo Lana Berlucchi. Le note di Georgia on my mind vibravano nell’aria. Guido Berlucchi era al pianoforte. Rimasi incantato dall’eleganza della figura, dalla maestria con cui le mani accarezzavano i tasti. Volsi lo sguardo ai muri secolari, ai ritratti di famiglia; notai gli arredi preziosi. Tutto emanava raffinatezza non ostentata. Il conte richiuse il piano, mi salutò con calore e iniziò a interrogare me, giovane enologo, sugli accorgimenti per migliorare quel suo vino bianco poco stabile”. Voleva semplicemente far meglio il suo Pinot del Castello e trovò invece il partner per un’avventura che avrebbe modificato il destino della Franciacorta.
Franco infatti aveva assaggiato di recente uno Champagne da cui era rimasto folgorato e che riteneva in perfetta linea con quell’ambiente raffinato, alla fine dell’incontro osa lanciare una proposta: “E se facessimo anche uno spumante alla maniera dei francesi?”.

Nel 1955 nasce la Guido Berlucchi & C. prima ed antesignana cantina della zona, apripista di un’intera zona enologica. Si comincia a sperimentare in questo senso, col desiderio di produrre vino con un’etichetta (non scontato per tempi in cui il vino restava sfuso). La sfida ebbe inizio e, dopo alcune annate meno fortunate (“tra tappi sbagliati e bottiglie che scoppiavano”), nel 1961 vengono sigillate tremila bottiglie di “Pinot di Franciacorta Methode Champenoise”. Stappate l’anno dopo, si rivelano ottime.
Il nome poi cambierà in Berlucchi Champenoise d’Italia. Fino alla denominazione di origine, un’affermazione con orgoglio della propria identità.
“Quando il termine Franciacorta – sottolinea Cristina Ziliani – è diventato sinonimo di un prodotto specifico, vinificato con un metodo specifico, ha assunto ancora più forza. Che si lega a un territorio ma anche a un metodo. Tanto che il vino tranquillo prodotto qui ha un’altra denominazione, Curtefranca, bianco o rosso”.

E attraverso tappe fondamentali, per l’azienda e per tutto il territorio di cui è espressione, quel primo lotto di 3mila bottiglie è stato apripista di una produzione che oggi vanta circa 4 milioni di bottiglie l’anno.
Volendo riassumere in pochi numeri queste tappe, dopo l’ormai mitica annata 1961, c’è anche quella del 1962 in cui Ziliani creò il primo Rosé Metodo Classico. Poi il 1967, con la nascita della doc Franciacorta. Ancora, il 1990 con la nascita del consorzio il cui primo obiettivo è l’elaborazione di un disciplinare la produzione. Nel 1995 il Franciacorta diventa il primo spumante italiano metodo classico docg. La famiglia nel 1999 affronta il rinnovo di tutti i vigneti aziendali e dell’apparato produttivo.
Il 2007 poi segna un rafforzamento di convinzioni all’insegna della sostenibilità: dopo alcuni anni di sperimentazione in vigna, Arturo decide di puntare sul biologico e poi nel 2017 arrivano tutte le certificazione, dopo l’iter del periodo di conversione: tutti gli 85 ettari di vigneto dell’azienda sono bio.

Intanto, con l'avvicinarsi di un anniversario importante, quello di 60 anni nel 2021, la cantina Guido Berlucchi, si racconta nel primo Report di Sostenibilità 2019 firmato dall’azienda. ''È molto emozionante vedere riuniti e raccontati, nel nostro primo Report, i risultati di tutti questi anni di lavoro passati insieme ai nostri collaboratori qui, nel cuore e origine della Franciacorta, per costruire la nostra vision”, commenta il ceo e direttore tecnico Arturo Ziliani.
“Anno dopo anno, vendemmia dopo vendemmia, grandinate, gelate, siccità non hanno fermato la nostra idea di creare un'azienda più rispettosa di questo territorio e di chi lo vive, proteggendolo come un patrimonio non rinnovabile ed elevando in modo evidente la qualità dei vini a nome Franciacorta", spiega. In 60 anni, nel loro complesso le cantine della Franciacorta hanno contribuito a proteggere e salvaguardare 3mila ettari di territorio, compreso tra Brescia e l'estremità meridionale del Lago d'Iseo, destinandoli alla viticoltura e creando così un modello di sviluppo alternativo al modello artigianale/industriale, tipico degli anni '70-'90.

Inoltre, la visione della Guido Berlucchi si spinge oltre gli aspetti legati alla produzione enologica e guarda anche alla complessità delle ricadute socio-culturali, per cui hanno sviluppato progetti quali l’Academia Berlucchi, l'Hospitality didattica, per meglio promuovere la “destinazione Franciacorta” e le campagne di Corporate Social Responsability, con iniziative dedicate alla formazione e riconnessione con la Natura delle nuove generazioni.
Obiettivo per il 2021? “Vogliamo affrontarlo, dice il ceo, con un messaggio di positività, determinazione e consapevolezza: che non abbiamo altra scelta che trattare bene il nostro Pianeta e chi ci vive, ognuno facendo la propria parte''.Original Article

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