«Anche nel Sahel i jihadisti distruggono le scuole, proprio come fanno i Taliban in Afghanistan. Tra Burkina Faso, Mali, Niger, sono stati devastati più di 4000 edifici scolastici perché per gli islamisti l’istruzione è una minaccia così cercano di eliminare i luoghi dove questa s’impara e si diffonde», dice Chiara Cardoletti, 47 anni, la nuova rappresentante per l’Italia dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr). «Per questo, nella regione africana abbiamo appena lanciato una campagna per ricostruire 400 scuole che erano frequentate da 700 mila bambini e che offrivano lavoro a 20 mila insegnanti».
Perché tra le tante emergenze umanitarie che funestano il pianeta, il Sahel è una delle più gravi?
«Anzitutto perché è una crisi che non fa che peggiorare, che non si riesce né a stabilizzare né a risolvere. E poi perché è una crisi multidimensionale dove la povertà è aggravata dai conflitti armati e dalle sempre più spaventose condizioni climatiche. Nel Sahel centrale, sono presenti circa tre milioni fra e mezzo di sfollati interni e rifugiati. Sei milioni di persone, tra cui moltissimi bambini, vivono in condizioni di povertà estrema e d’insicurezza costante».
Quanto accade del Sahel, ha recentemente detto il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è una minaccia per noi tutti.
«Sì, perché negli ultimi anni in tutta la regione c’è stato un forte sviluppo del fondamentalismo islamico. C’è poi la totale mancanza di governance politica, perché lo Stato o gli Stati nazionali sono assenti, in un luogo che è anche un corridoio per grossi interessi economici, dal contrabbando delle armi al passaggio della droga verso l’Europa. La mancanza delle forze governative è così importante che spesso le popolazioni civili sono costrette a rivolgersi ai gruppi fondamentalisti per risolvere i loro problemi».
Ci sono poi i bambini, che sono il futuro di quella regione grande una volta e mezzo l’Europa. Quali minacce incombono su di loro?
«Per via dell’annosa miseria che colpisce il Sahel, i bambini sono da tempo impunemente reclutati nel lavoro infantile. Con il fondamentalismo islamico la loro situazione è peggiorata non solo per via delle continue violenze nei villaggi saccheggiati dai vari gruppi terroristi. Molti bimbi hanno perso la possibilità di istruirsi e la protezione che poteva fornire loro la scuola. Colpendo le istituzioni scolastiche e gli insegnanti, gli islamisti scoraggiano i genitori a mandare i loro figli in classe. La prima conseguenza di tutto ciò è che ora molti di questi bambini si ritrovano in una situazione di estrema vulnerabilità, anche per quello che riguarda il possibile reclutamento forzato da parte delle bande islamiste».
Quali sono le conseguenze della pandemia?
«Al livello sanitario sono poche, salvo un piccolo aumento di casi in Senegal. Ma il lockdown ha avuto un forte impatto sulla già disastrata economia locale. Sarà perciò necessario ricostruire quelle strutture sociale indispensabile alla vita civile, anche per fare sì che le popolazioni ricomincino a credere nelle istituzioni.
L’Unhcr ha lanciato una sua campagna per aiutare i bambini nel Sahel. In che cosa consiste?
«Il nostro obiettivo è che i bambini possano tornare a studiare. Stiamo lavorando affinché la scuola ridiventi un luogo sicuro anche dal punto di vista sanitario, fornendo acqua, lavandini dove lavarsi le mani, saponi, gel disinfettanti e mascherine. Stiamo poi costruendo e ristrutturando nuove scuole e altri spazi didattici per accogliere il maggior numero possibile di studenti, e organizzando la didattica a distanza per bambini che vivono in aree dove c'è insicurezza o focolai attivi di Covid. Infine, stiamo formando gli insegnanti sulla didattica a distanza e sul supporto psicosociale agli studenti in situazioni di maggiore fragilità come possono esserlo i rifugiati».
Quanto è difficile per voi umanitari lavorare in quel teatro di guerra?
«E’ molto difficile per tutti gli operatori umanitari che sono nel Sahel, perché sempre a rischio di un attentato o di un sequestro da parte dei jihadisti. Da parte nostra, oltre a cercare di rispondere alle gravi emergenze umanitarie e a incoraggiare lo sviluppo economico della regione, ci sforziamo anche per riportare i governi sul terreno, anche nei luoghi più remoti, per evitare che il loro ruolo non sia svolto dalle bande islamiste».
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