LONDRA
“Imagine”, canta John Lennon nel brano diventato un inno globale: immaginate che non ci siano l’inferno e il paradiso, che non ci sia nulla per cui uccidere o morire, che tutta la gente viva in pace. E poi conclude: «Si potrebbe dire che io sia un sognatore, ma non sono l’unico, spero che un giorno vi unirete a noi e il mondo sarà un’unica entità». Ebbene, qualcuno ci sta provando a immaginare un mondo migliore e ha scritto un manuale per spiegare come si fa a realizzarlo. Si chiama Rob Hopkins, è un ambientalista inglese di 52 anni, fondatore del Transition Movement, il movimento nato nel 2010 a Totnes, delizioso borgo del Devon dove lui vive e in cui ha lanciato l’idea delle “città sostenibili”: pannelli solari su tutte le case, soltanto mezzi pubblici e biciclette, un orto dietro ogni casa, alberi da frutto lungo le strade da cui ognuno può cogliere nutrimento.
Dieci anni più tardi sono sbocciate in mezza Europa tante Transition Towns sul suo modello, una anche in Italia, a Monteveglio, in provincia di Bologna. I tempi devono essergli sembrati maturi per la mossa successiva: Immagina se…, il libro uscito da poco in Inghilterra e pubblicato nel nostro paese da Chiarelettere. Immagina se potessimo vivere in modo diverso, è il concetto di fondo: più che mai attuale, dopo che il modo in cui abbiamo vissuto finora ha provocato disastri come il cambiamento climatico e la pandemia da Covid 19. «Dobbiamo riprendere un vecchio slogan del ’68», dice Hopkins, «l’immaginazione al potere».
Lei esorta a “immaginare” un mondo migliore, Hopkins: si sente un sognatore come John Lennon?
«Il messaggio della canzone mi è sempre piaciuto, ma l’ispirazione per il libro viene da una frase della celebre saggista e attivista canadese Naomi Klein: il cambiamento climatico è un fallimento dell’immaginazione. Ho pensato che servirebbe un’iniezione di fantasia per reinventare il mondo. E nel mio libro suggerisco come alimentarla».
“I have a dream”, per citare Martin Luther King.
«Esattamente. Uno dei problemi del mondo d’oggi è che non ci sono politici capaci di farci sognare: leader come Luther King o Bob Kennedy, in grado di entusiasmare con un pensiero radicalmente nuovo».
Se la transizione descritta dal suo libro fosse già avvenuta, non avremmo avuto la pandemia che ha paralizzato il pianeta?
«Come minimo avremmo potuto affrontarla meglio. Non era difficile immaginare che la continua violazione della natura da parte dell’uomo avrebbe provocato una pandemia come il Covid 19, anche perché era già successo in precedenza. E succederà di nuovo, se non cambiamo. Così come non era difficile immaginare che servissero più forti strutture sanitarie per essere pronti al peggio».
Qualche progresso c’è stato: da Greta Thunberg a Extinction Rebellion fino all’ultimo documentario di David Attenborough, la difesa dell’ambiente è un’opinione sempre più diffusa.
«Sì, ma è ancora insufficiente. Basta guardare alle presidenziali Usa: gli americani che hanno votato per Trump, circa metà di quelli andati alle urne, sono ancora convinti che il cambiamento climatico sia un’invenzione della sinistra».
Di cosa c’è bisogno, affinché il mondo segua i consigli del suo libro?
«C’è bisogno di più desiderio. Quando Neil Armstrong andò sulla Luna, il mondo era pronto perché politici come John Kennedy, la letteratura, il cinema, avevano già suscitato la voglia della corsa allo spazio. E per creare una voglia simile rispetto all’energia sostenibile, alle città verdi, alla lotta contro l’inquinamento, serve un atto di storytelling, una migliore e diversa narrativa. Che si accende soltanto con l’immaginazione».
Una delle sue esortazioni è prendere i giochi sul serio.
«Nel senso che giocare è una cosa seria ma i bambini non lo fanno quasi più. E anche noi adulti dovremmo imparare a giocare, che è il modo migliore di immaginare il futuro. Come si faceva da piccoli, dicendo: facciamo che eravamo dei pirati, o degli astronauti, o dei cow boy».
Un’altra è che l’immaginazione va insegnata come una materia scolastica.
«In realtà è già stato fatto, proprio in Italia, negli asili e nelle scuole di Reggio Emilia, che dal primo dopoguerra sono diventati un esempio studiato in mezzo mondo per il tipo di educazione aperta, creativa e immaginativa che riuscivano a dare. Gli adulti in grado di non farsi manipolare da politici populisti nascono sui banchi di una scuola che li sprona a mettere in dubbio, a ragionare con la propria testa, a immaginare una realtà migliore».
Viene in mente lo slogan del ’68, l’immaginazione al potere.
«Sono nato un mese dopo la rivolta studentesca del maggio francese di quell’anno indimenticabile e credo che la sua lezione non si sia esaurita. Il ’68 fu una rivoluzione culturale, ora ne serve un’altra non meno dirompente, se vogliamo battere il populismo, il sovranismo, il nazionalismo. È chiaro che un progressismo timido e cauto non ha gli strumenti per farlo. Serve un altro slogan sessantottino: dobbiamo essere realisti e chiedere l’impossibile».
Qualcuno direbbe che è l’ennesima utopia.
«Tutti gli studi scientifici più autorevoli dicono che abbiamo 10-15 anni di tempo per cambiare sistema prima che sia troppo tardi. Per creare un mondo diverso da quello odierno, in cui forse viaggeremo di meno, ma saremo più felici, meno ansiosi e più sani. In cui spenderemo di meno per compiti di polizia e di più per soccorrere le periferie emarginate in cui nasce il crimine. In cui i trasporti saranno tutti gratuiti, le città verdi e i lavori dignitosi e gratificanti, con meno catene di supermercati e più mercati rionali di prodotti locali. Non ci arriveremo a piccoli passi, bensì soltanto con una nuova visione, un grande sforzo di immaginazione collettiva. Che deve partire dall’alto, dai leader politici, ma anche dal basso, dai piccoli comportamenti quotidiani di ognuno di noi. L’immaginazione al potere è la carta per sconfiggere i Donald Trump di oggi e di domani».
Il libro
Immagina se… di Rob Hopkins (Chiarelettere, pagg. 288, euro 19)Original Article
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