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La pandemia ci ha fatto scendere dai tacchi

NEW YORK – Bye bye stiletto. Complice il lockdown, le donne di mezzo mondo hanno letteralmente girato i tacchi: alti s'intende. Chiamatelo "Quarantine Effect", effetto quarantena. Allo stile "comodoso" ci hanno spinto mesi di lavoro forzato da casa, per cui al massimo si abbiglia vistosamente la parte alta del corpo: quella, per intenderci, da mostrare in video, nelle teleconferenze via zoom. Sì, nel giro di una stagione – certo, la più triste della nostra vita – l'accessorio che sembrava non passare mai di moda è scomparso.
Fra marzo e giugno, le vendite dei tacchi alti, per decenni simbolo di femminilità ed eleganza, sono crollate del 70 per cento: e non si sono più riprese. A "goderne", oltre alla pianta del piede, le aziende di scarpe considerate brutte ma comode, da Birkenstock a Crocs, ben più adatte a una vita adagiata fra camera da letto e cucina. Un declino veloce, certo. Ma non inatteso. Già da tempo le donne stavano abbandonando tacchi a spillo e scomodi stiletti: accessori relegati, al massimo, all'intimità della camera da letto.
Già nel 2014 un genio della moda come Karl Lagerfeld, buonanima, aveva fatto sfilare Cara Delevingne e le altre modelle in abiti d'alta moda: ma con le sneakers ai piedi, sia pure elaboratissime, su misura e super costose: 3mila euro al paio. Una rivoluzione che all'epoca aveva fatto sollevare più d'un sopracciglio: ma allo stesso tempo, aveva sdoganato l'eleganza confortevole di accessori non più considerati adatti unicamente ad affrontare marciapiedi e metropolitane di grandi città come New York, Tokyo, Milano. Salvo rimuoverle in fretta prima di arrivare in ufficio per indossare quelle che qui in America ancora chiamano "under desk shoe", le scarpe coi tacchi da tenere sotto la scrivania come faceva Melanie Griffith nei panni di Tess McGill nel film Una donna in carriera del 1988.

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"Prendetemi tutto ma non le Manolo". Carrie Bradshaw, il personaggio interpretato da Sarah Jessica Parker nella serie ormai di culto Sex& the City, in una delle puntate urlava proprio così al ladro pronto a sottrarle gli amatissimi stiletti: era il 2001. Nel frattempo, pure il negozio di Manolo Blahnik sulla 54esima strada a Manhattan è fallito, e senza nemmeno lo zampino del virus.
Il mondo (dei tacchi alti) era già cambiato quando nel 2017 Serena Williams aveva messo le sneakers pure sotto il suo abito nuziale: e l'anno dopo perfino all'after-party del royal wedding del principe Harry con Meghan Markle. " Aver dismesso tacchi alti e indumenti fascianti non è legato solo al tutti a casa. Il lockdown ha velocizzato un cambiamento d'immagine che le donne meditavano da tempo", dice al New York Times Carolyn Mair, autrice di The Psychology of Fashion. "È tempo, di riflettere sul perché fino ad ora ci siamo vestite così".
E pensare che c'è stato un tempo in cui i tacchi alti erano prerogativa maschile: usati per innalzarsi, letteralmente, al di sopra dei liquami delle strade. E certo, pure per sollevarsi di qualche centimetro: grande ossessione di Luigi XIV di Francia: Re Sole, sì, ma piccolo di statura, considerava le sue scarpe rosse rialzate un simbolo di regalità che a nessun altro veniva concesso.
Nel tempo l'uso dei tacchi divenne comune fra uomini e donne della nobiltà, vero indice di status. Ma i tacchi cominciarono davvero a diffondersi solo in epoca vittoriana, con l'invenzione della macchina da cucire. Entrando, proprio in quell'epoca di pruderie, anche nell'immaginario erotico: quando nel 1860 cominciarono a circolare le prime immagini porno: quelle di donnine nude, con solo i tacchi ad adornarne il corpo. Nel 1951 lo stilista André Perugia – nato a Nizza ma di padre italiano – crea i primi stiletti.
Da allora, la scarpa "alla francese" diventa popolare: con buona pace dell'irrefutabile scomodità. Secondo gli esperti i tacchi sono tollerabili infatti appena 1 ora e 7 minuti: poi iniziano a far male. Un dolore sopportato 70 anni. Che solo la pandemia ci sta convincendo ad abbandonare.
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