Gerusalemme. C’è già chi la chiama “Beitar Dubai”, la squadra di calcio di Gerusalemme che da ieri è di proprietà congiunta israelo-emiratina, dopo l’acquisto del 50% della società da parte dello sceicco Hamad bin Khalifa al Nahyan. La trattativa era nata poco dopo l’annuncio, ad agosto, della normalizzazione tra Israele ed Emirati Arabi Uniti e si è conclusa ieri a Dubai con una festosa conferenza stampa congiunta tra i nuovi soci.
La notizia delle trattative aveva destato clamore e curiosità, in quanto il Beitar è noto per il suo zoccolo duro di ultrà anti-arabi – “La Familia” – che si è reso protagonista di numerosi episodi di razzismo. Moshè Hogeg, il presidente del Beitar, acquistando la squadra nel 2018, si era imposto di fare una “rivoluzione sociale”, come aveva raccontato a settembre in un’intervista a Repubblica. Con questa nuova partnership porta all’apice la sua battaglia per contrastare il razzismo all’interno del club, di cui ora diventa vice-presidente il figlio dello sceicco, Muhammad bin Hamad bin Khalifa. “E’ il segnale più netto che c'è la volontà di una pace vera, dal basso. Ed è un passo critico nell'educazione delle nuove generazioni di tifosi" ci aveva detto Hogeg, messaggio che ha ribadito ieri durante la conferenza stampa. Un gesto altamente simbolico, ma anche spinto da interessi economici, considerate le casse del club quasi al verde. L’investimento emiratino permetterà alla squadra di respirare ossigeno e di guardare più in grande.
La tifoseria ha approvato. Al mercato Mahanè Yehuda di Gerusalemme, fortino dei tifosi nero-gialli, c’è grande entusiasmo. “Un sogno che si avvera”, “Metterà fine al razzismo”, “Ora potremo costruire un team di livello”, sono alcuni dei commenti che si sentono tra i banchi della frutta e del pane. La minoranza che si oppone dice che “stanno svendono i nostri ideali per soldi”. Gli ultrà de La Familia – che nel 2013 esibì lo slogan "Beitar pura per sempre" per protestare contro l’ingaggio di due giocatori ceceni musulmani – hanno annunciato proteste venerdì durante gli allenamenti. Ma Hogeg non si fa impressionare e minaccia di trascinarli in tribunale per “diffamazione del club”, un’azione che ha già intrapreso nei mesi scorsi e che ha contribuito a marginalizzare gli estremisti.
E nemmeno il nuovo socio emiratino si dice preoccupato. “Sono dei ragazzi a cui è stato lavato il cervello, vivono nelle tenebre. Noi dobbiamo tendere la mano e fargli vedere la luce”, ha affermato Hamad bin Halifa durante la conferenza stampa. D’altronde, per lui che si dice non sia un grande fan del calcio, l’interessamento proprio nel club nero-giallo non era casuale. Probabilmente si è trattato anche di un test per valutare la reazione popolare a Gerusalemme, dove arriverà a breve per discutere di altri investimenti, principalmente nel settore immobiliare.
In molte squadre di calcio israeliane giocano fianco a fianco ebrei, musulmani e cristiani, e proprio al Beitar, la squadra di Gerusalemme dove il 38% della popolazione è araba, la questione è ancora spinosa. Sempre a seguito degli accordi di normalizzazione tra Israele ed Emirati, a settembre Diaa Saba è diventato il primo israeliano a giocare in un team arabo, Al-Nasr SC di Dubai. A breve sapremo se anche al Beitar si sceglierà di infrangere un tabù che sembra sempre di più appartenere al passato.
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