Quando gli storici del futuro studieranno la pandemia del 2020, troveranno in Fuori era primavera – Viaggio nell’Italia del lockdown uno strumento prezioso. La genesi del documentario (visibile dal 10 dicembre sulla piattaforma RaiPlay, poi su Rai 3 il 2 gennaio 2021) è nota: sul modello del suo Italy in a day, di sei anni fa, il regista ha chiesto agli italiani di inviargli i filmati ripresi con i loro dispositivi tra il 24 marzo e il 30 maggio scorsi; poi, assieme a Massimo Fiocchi e Chiara Griziotti, li ha selezionati e ne ha curato il montaggio in film “collettivo” della durata di un’ora e un quarto. La narrazione delle fasi del contagio, e del confinamento durante il lockdown, segue l’ordine cronologico; lasciando parlare le immagini senza bisogno di una voce magistrale che le illustri, (inevitabilmente) forzandole.
'Fuori era primavera' il film collettivo sul lockdown di Gabriele Salvatores – trailer in anteprima
Quel che sentiamo in colonna sonora sono brani musicali (da Ponchielli a Bella ciao, a Battiato), ma soprattutto le canzoni degli italiani ai balconi, accompagnate con la chitarra. In realtà non tutte le immagini sono amatoriali come si pretenderebbe: i primi minuti anzi, fotografati professionalmente, ricordano il celebre film proto-ecologico Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, tra mari ghiacciai e paesaggi naturali. Poi il volo di un pipistrello fa da tramite fra la natura e il nostro mondo, reso deserto dal virus che l’ignaro chirottero portava con sé. Ritroviamo le scene – ahinoi – così famigliari degli ospedali, le strade vuote, i lugubri camion che trasportarono le vittime di Bergamo. Fuori era primavera possiede una sua precisa fisionomia, che alterna il pubblico col privato: un privato senza precedenti e senza paragoni nella storia recente. Il film passa in rassegna i “personaggi” del lockdown: i medici e gli infermieri, gli studenti impegnati nella didattica a distanza, due danzatori, un rider che attraversa in bici la città deserta raggranellando pochi spiccioli con le consegne, una donna incinta. Però i protagonisti veri sono i vecchi e i bambini (per i quali Salvatores ha sempre mostrato una particolare attenzione), testimoni di un’esperienza che, negli uni e negli altri, mostra tratti del tutto particolari. Qui il film si fa commovente: quanto – e forse più – che nel racconto dei decessi.
In ogni caso Salvatores, da par suo, non si abbandona mai a eccessi di patetismo; pur lasciando spazio alla compassione, quando essa è nei fatti. Quel che traspare è il senso di solitudine di molte delle persone che incontriamo; e tuttavia sono evidenti anche le capacità di resilienza e di resistenza psicologica all’inaspettata situazione in cui ci siamo venuti a trovare. Un merito sostanziale del montaggio del film – che ne è poi l’ossatura – consiste nell’alternare le scene tristi o dolorose con altre più ottimistiche e perfino sorridenti: una sequenza alternata di italiani che ballano (adulti e bambini, professionisti e anziani), il momento di trionfo dei giovani che si laureano, seppure da remoto, o le immagini degli animali selvatici scesi a valle e che percorrono le vie della città, finalmente silenziose e sicure; come una paperella seguìta dai suoi piccoli in fila indiana.
Fuori era primavera è un film che vince una scommessa non facile e che fa del bene vedere, anche ai più stanchi di immagini della pandemia. Consigliabile soprattutto a chi dimentica in fretta, come pare accada a troppi nella “seconda ondata” ora in corso.
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