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Dagli arabi a Guttuso, l’avventura millenaria delle carte da gioco

«Tivitti!» urlava il nonno che, abituato a sbaragliare gli avversari della cammara, non riusciva a trattenersi quando giocava con i nipoti, addestrandoli alla sconfitta prima di avviarli alla conoscenza delle fini strategie della briscola in cinque. E svelar loro le sottigliezze del bluff, i segnali per dirsi segretamente cosa si tenesse in mano. O per mentirsi. In Sicilia non serve approssimarsi alle feste natalizie per tirar fuori dal cassetto il mazzo di carte e non ci sono social che tengano quando ci si riunisce intorno al tavolo per darsi battaglia a colpi di spade, bastoni, coppe e ori.
Né sono solo gli anziani al circolo a sfidarsi brandendo l’asso di mazze come fosse una mazza vera. Ma quando sono giunte tra le nostre mani le carte siciliane come le conosciamo oggi? Il tragitto resta in gran parte oscuro — forse iniziato in Cina nel X secolo — ma si conviene sui responsabili dell’arrivo nel sud Europa: gli arabi. Il più antico mazzo di carte che si conservi è il mazzo mamelucco. Si trova a Istanbul, risale al XIII-XIV secolo e consiste di 56 lamine d’oro lavorate a intarsio e suddivise in 4 semi.
Note anche come Mulûk Wa- Nuwwâb ( Re e Viceré), presentano quasi identici i semi che troviamo sulle carte siciliane: jawkân, antenati dei nostri bastoni; suyûf, le spade; darâhim, i denari; tûmân, le coppe. Derivazione islamica ha anche l’insolito cavallo di colore grigio che in origine era un asino, simbolo di umiltà spirituale con cui si entrava alla Medina durante il pellegrinaggio alla tomba del profeta. E non è un caso che in siciliano la figura del cavaliere si chiami ’ u sceccu che deriva dal termine shaykh, appellativo per chi meritava rispetto e non termine denigratorio com’è l’odierno.
In Sicilia le carte giunsero intorno al XIV secolo provenienti dalla Spagna islamica. Da lì in poi la cosiddetta baraja española da 40 carte e 4 semi ha continuato a espandersi. Semi assai somiglianti tra loro si trovano in Sicilia e in tutto il Sud Italia fino a buona parte del Centro, ma anche in Sardegna e addirittura nel piacentino e nel Roussillon francese, così come tra le carte marocchine che, seguendo la variante di Cadíz, sono anch’esse legate alla baraja española.
Sotto i Borboni le carte da gioco si diffusero enormemente tanto che nel corso del tempo divennero anche veicolo di idee con l’apparizione di Garibaldi che nei mazzi di ’ 800 e inizio ’ 900 impersonava il cavallo di bastoni o di spade e compariva anche al centro del cinque di denari, poi sostituito dalla biga presa a prestito dalla moneta da 10 lire. È indubbiamente garibaldina anche la donna di coppe che in origine, come le altre donne, rappresentava un fante. Nel tempo alle carte si sono sovrapposte stratificazioni simboliche. Nel tre di denari troviamo la Trinacria, simbolo della Sicilia, e l’asso di bastoni si dipingeva anche sui masciddari, le sponde fisse dei carretti, accompagnato da due parole significative: vacci lisciu.
Un monito per gli attaccabrighe. Le figure dei re invece sembrano ispirarsi direttamente alle miniature d’epoca carolingia e rimandano all’immaginario dei Paladini di Francia che in Sicilia ebbero lunga e fortunata tradizione non solo nelle raffigurazioni dei carretti ma anche nell’Opera dei Pupi. C’è poi una diretta discendenza tra le carte da gioco e gli arcani minori dei tarocchi siciliani secondo cui l’asso di denari rimanda a un lungo lasso di tempo, un lungo viaggio o alla sopportazione mentre il tre di denari simboleggia la riuscita di un affare o di un progetto lavorativo.
E se il due di coppe richiama l’amore di coppia o fraterno, il tre dello stesso seme racconta il frutto generato dall’amore o un obiettivo quasi raggiunto. Il quattro rappresenta l’attesa ma anche uno scontro e non a caso la miniatura rappresenta un duello sopra uno stemma sabaudo. Il sei di coppe parla d’avvenire con il potente simbolo del veliero al centro della carta. Venendo ai bastoni, scopriamo che il tre è l’adulterio ma il sette la conclusione di una lite con la miniatura del calice che allude al brindisi. In senso opposto si intende il tre di spade che parla di litigi, maldicenze e complicazioni.
Anche il cinque di spade non predice niente di buono simboleggiando un blocco emotivo, familiare o professionale che solo affetto e fedeltà possono superare. Difatti vi compare un cane. Una forte simbologia l’hanno anche i semi che rimandano alla struttura sociale medievale. Le coppe, i coppi, rappresentano la classe ecclesiastica ma l’asso di coppe a sorpresa è un lebete nuziale, vaso già in uso nella Sicilia magnogreca. Le spade, i spati, si associano al ceto nobiliare. Nei denari, l’oru o aremi ( arrivato al siciliano dal latino aurum), si identifica il ceto mercantile. E i bastoni, i mazzi, ritraggono il popolo.
Le carte da gioco hanno suscitato anche l’interesse degli artisti. Francesco Toraldo, calabrese d’origine e siciliano d’azione, ha creato una intera collezione di quadri ispirata alle carte siciliane dal titolo Carte Made in Sicily. E ha fatto storia la collezione privata della scrittrice Paola Masino che consta di 352 carte realizzate tra il 1950 e gli anni ’ 80 da artisti come Alberto Burri e Toti Scialoja, Carlo Carrà e Linuccia Saba, Ettore Sottsass e Alfonso Gatto. C’è pure Guttuso che le dipinse non una ma due carte: un fante di quadri in camicia a righe e pantaloni a zampa d’elefante e un fante di spade sicilianissimo in panni contadini.
Affidandosi a mezzi più tecnologici un gruppo di amici di Naro, nell’agrigentino, offre su Instagram la decifrazione di ogni singola carta sull’account @sicilianwords che recupera e commenta anche termini dialettali quasi perduti. Un percorso simile ma in chiave artistica ha intrapreso Ester Ferrigno, illustratrice d’origini ennesi trapiantata a Milano che su @sterfe_illustra ha trovato il modo di vivere ogni giorno la Sicilia anche a distanza raccontando i simboli delle carte siciliane insieme a tradizioni, detti, leggende, luoghi e dolci tipici.Original Article

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