AGI – Alla fine anche nel Pd hanno alzato le braccia. È arrivato l'ok alla riforma del Mes, ma i numeri per destinare quei fondi Ue alla sanità non ci sono e non ci saranno. E per fortuna dei rosso-gialli la ratifica della riforma del Mes secondo quanto si apprende non avverrà in Parlamento prima di marzo, dunque ci sarà il tempo per il Movimento 5 stelle per cercare di ricomporre una frattura che, al di là dei numeri più esigui rispetto alla lettera firmata da 56 parlamentari, rischia di compromettere l'unità del Movimento ma anche la sopravvivenza dell'esecutivo.
Oggi al Senato l'asticella si è fermata a 156 sì. Non erano necessari i 161, ma si tratta (al netto di alcune assenze sia tra i dem che nel Movimento 5 stelle) comunque di un segnale. Il rischio insomma è che nei passaggi decisivi, a partire dalla legge di bilancio, non ci sia una vera maggioranza politica.
Per di più le fibrillazioni sul 'Recovery plan' sono destinate a durare. Niente Consiglio dei ministri neanche mercoledì e non ci dovrebbe essere un chiarimento neanche in prossimità del ritorno del premier dal Consiglio Ue. Conte che ha lanciato un appello alla maggioranza alla condivisione, ha avuto un mandato sulla riforma del Mes ma non ha il via libera sulla task force sul 'Recovery' ipotizzata qualche giorno fa.
Il premier, raccontano nel governo, è disponibile al pari di Gualtieri a ritoccare il decreto, a modificare l'impianto, a patto che ci sia comunque una struttura snella e con un coordinamento. "Perché – spiega una fonte dell'esecutivo che 'sponsorizzà lo schema contiano – l'Italia dovrà comunque anticipare quei soldi che poi arriveranno dall'Europa. Se non li spendiamo bene rischiamo di perderli e non ce lo possiamo permettere". La mediazione che Conte e Gualtieri hanno messo sul tavolo è quella di limitare i poteri in deroga a casi eccezionali e di far passare ogni decisione dal Consiglio dei ministri.
Ma Iv non molla e l'immagine di Renzi che raccoglie applausi 'bipartisan' da Salvini al dem Zanda nell'Aula del Senato ha fatto parecchio scalpore in una giornata in cui si registra un vero e proprio ultimatum da parte del senatore di Rignano al presidente del Consiglio: "Bisogna – ha detto rivolgendosi al premier – dirsi le cose in faccia, ora o mai più. Mettiamo le nostre poltrone a disposizione, non scambieremo il nostro sì al governo" sulla cabina di regia "con uno strapuntino o un posto a tavola".
In questa battaglia il leader di Iv è comunque sostenuto (sotto traccia e con toni più morbidi) pure dal Pd e in parte dal Movimento 5 stelle. Basta ascoltare il dem Delrio: "Conte sia umile come Papa Francesco. Ascolti parti sociali ed enti locali, no a commissariare il Parlamento".
Fibrillazioni anche nel centrodestra dove gli azzurri Brunetta e Polverini alla Camera (dodici gli assenti a Montecitorio ma sono solo loro due a smarcarsi) non hanno partecipato al voto. "Chi non ha seguito la linea del centrodestra non sarà più ricandidato", tagliano corto fonti parlamentari della Lega e di Fdi.
Al Quirinale hanno seguito ovviamente l'esito del voto, e si è registrato sollievo per il voto con il quale il Parlamento ha approvato le comunicazioni di Conte, comunicazioni che il premier ha anche illustrato in dettaglio al presidente Mattarella durante il videocollegamento che ha sostituito il tradizionale pranzo pre-vertice Ue.
Il sì di Camera e Senato permette al premier Conte di andare a Bruxelles per discutere il bilancio pluriennale che sblocca il Recovery plan e di non smentire il sì' annunciato da Roberto Gualtieri dieci giorni fa all'Eurogruppo alla riforma del Mes. Il sollievo del Colle è quindi in particolare perche con il voto di oggi si è evitato di dare dell'Italia un'immagine di incertezza sulla linea tenuta finora nelle trattative comunitarie. Anche se ancora manca il via libera del Consiglio dei ministri al piano italiano e alla struttura di attuazione, e questo certamente non aiuta l'immagine del Paese.
Ma ovviamente non è sfuggito al presidente che la maggioranza resta in fibrillazione, e che il prossimo banco di prova della tenuta sarà nel voto sulla manovra. Un sisma a bassa intensità ma permanente che fa ballare ogni settimana l'esecutivo in un momento in cui invece sarebbe necessario un governo saldo in sella per combattere il coronavirus, gestire la campagna vaccinale e completare la stesura del piano per il Next generation Ue.
Ed è una tensione continua che lascia presagire nuovi momenti di scontro a gennaio, appena approvata la manovra. La linea fatta trapelare dal Colle è chiara: se si vorrà andare a un rimpasto corposo si dovrà ripassare dalle Camere per la fiducia, ma il Presidente ha già consigliato prudenza, se invece il governo cadesse le urne sarebbero la strada maestra.
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