Uno dei tre co-amministratori delegati di Zalando, Rubin Ritter, ha deciso di lasciare l'azienda nel 2021. Zalando è un gigante tedesco ed europeo delle vendite online di scarpe, vestiti, accessori e prodotti di bellezza con un volume lordo merci pari a 20 miliardi di euro nel 2020. L'azienda è quotata in Borsa e il manager della società tedesca ha spiegato agli investitori di voler dedicare più tempo alla famiglia. "Io e mia moglie ha dichiarato abbiamo deciso che per i prossimi anni le sue ambizioni professionali dovranno avere la priorità". Apriti cielo: il mondo business in Germania offre da anni una delle più solide e statiche rappresentazioni di maschilismo. Sì certo, grazie alla cancelliera venuta dalla Ddr, dove la parità uomo-donna sul lavoro era una realtà e non un obiettivo, la percentuale di donne occupate è passata dal 63,1% nel 2005 al 76,6% nel 2020. Eppure secondo un recente studio della Fondazione AllBright nel 2020 le grandi aziende quotate in Borsa con almeno due donne nel cda erano il 97% negli Usa, l'87% in Francia, il 79% in Svezia e il 70% nel Regno Unito ma solo il 13% in Germania, dove anzi il coronavirus ha solo mandato a casa molte delle poche dirigenti-donna. Ecco perché a Berlino e dintorni l'annuncio di Ritter ha fatto scalpore. Zalando, approdata agli scambi a Francoforte nel 2014, non ha peraltro annunciato che sostituirà il dirigente in uscita con una collega donna o se più semplicemente redistribuirà le sue competenze fra gli altri due co-ceo, due uomini. Neppure la moderna Zalando è dunque perfetta anche se, ha spiegato al Giornale, un portavoce aziendale, "abbiamo più donne che uomini nel consiglio di sorveglianza e puntiamo al 40% di presenza femminile in cda entro il 2023". Percentuali che le altre grandi aziende tedesche possono solo sognare.
A fine novembre il governo federale ha reagito varando un disegno di legge per imporre quote-rosa nei consigli di amministrazione delle grandi imprese. Quattro anni fa l'esecutivo si era limitato a raccomandare una maggiore presenza femminile nel mondo dell'imprenditoria: parole rimaste inascoltate alle quali cerca di porre rimedio il ddl affidato alla ministra della Famiglia Franziska Giffey. Fra gli obiettivi che il governo si è dato c'è anche quello di ridurre il gender pay gap, espressione inglese per indicare il divario salariale fra i due sessi. Anche qua la Germania sorprende, guidando la classifica dei paesi europei dove, secondo Eurostat, le donne guadagnano in media il 20,4% di meno dei loro colleghi maschi; solo la piccola Estonia fa peggio. C'è chi attribuisce questa brutta performance dei tedeschi a una legge in vigore in Germania che impedisce ai dipendenti di confrontare i propri salari. A farne le spese sono solo le donne. Fieri della propria modernità, a Zalando sottolineano che da loro la differenza salariale in ruoli comparabili è solo dell'1%. Eppure anche il colosso delle scarpe online riconosce che in valore assoluto il divario salariale fra i due sessi è del 22% "perché anche noi abbiamo più uomini in posizioni senior: il nostro obiettivo è chiudere questo gap in futuro". Il messaggio di Ritter non colma il divario ma ha il pregio di indicare che le aspirazioni professionali di una donna sposata valgono tanto quanto quelle di suo marito.
Prima di Ritter avevano fatto notizia una serie di vip globali fra i quali Brad Pitt, Ben Affleck e Ryan Reynolds rivelatisi padri attenti alle esigenze dei propri figli quanto a quelle delle loro compagne. Difficile però immaginare queste star di Hollywood non attorniate da uno stuolo di collaboratori domestici in prima linea nella preparazione della pappa o nel cambio del pannolino. Più convincente fu l'annuncio del conduttore televisivo neozelandese Clarke Gayford, che nell'agosto del 2018 prese sei settimane di congedo parentale per occuparsi della piccola Neve e permettere alla moglie di tornare al lavoro. Grazie a lui, Jacinda Ardern poté concentrarsi sulla sua occupazione principale: guidare la Nuova Zelanda nel ruolo di primo ministro conservatore.
Commenti recenti