Salute Seno, lo speciale dedicato alla prevenzione e alla cura del tumore al seno, dallo scorso giovedì è anche una newsletter e, se vorrete, potrete trovarla ogni giovedì nella vostra mail. Per farvela conoscere, pubblichiamo la prima uscita, in cui abbiamo approfondito un tema di attualità che tocca la politica sanitaria, l’emergenza in corso e la diagnosi precoce: oltre 470 mila donne sono rimaste senza test e questo si potrebbe tradurre in circa 2 mila tumori “mancati”. Siamo in grado di continuare a garantire la prevenzione? Lo abbiamo chiesto a Paola Mantellini, Direttore dell'Osservatorio nazionale screening (Ons) e oncologa dell’Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete oncologica (ISPRO) di Firenze, e a Maria Silvia Sfondrini, responsabile della Radiologia senologica del Policlinico Ca’ Granda di Milano (Clinica Mangiagalli), dove coordina la Breast Unit, che ci ha fatto un piccolo reportage dalla zona rossa di Milano, la città più colpita in questa seconda ondata di Covid. Pubblichiamo di seguito un estratto di questa prima newsletter.
In generale, abbiamo perso la metà degli screening, con un ritardo che l’Ons definisce “imponente” e che purtroppo continua ad accumularsi. In quanti tumori non diagnosticati si traduce questo ritardo? Secondo le stime, parliamo di circa 8 mila tumori mancati: 2.099 carcinomi mammari, 611 carcinomi colorettali e quasi 4.000 “polipi” (adenomi avanzati) del colon retto, e 1.676 lesioni della cervice avanzate (CIN2+).
Sono tanti o pochi? E quali sono le conseguenze? “Fortunatamente al momento il ritardo diagnostico appare abbastanza limitato nella media e le conseguenze cliniche, probabilmente, non sono particolarmente accentuate”, ci dice Mantellini. Per conseguenze cliniche si intende il possibile avanzamento dello stadio alla diagnosi per alcuni carcinomi del seno e del colon-retto, e il passaggio da lesioni CIN 2-3 a carcinomi della cervice veri e propri, e da adenoma avanzato a carcinoma del colon retto. Insomma, anche se il ritardo è “imponente”, non sembra esserlo (ancora) il danno.
Nel 2018, attraverso i programmi di screening sono stati scoperti più di 8 mila tumori al seno: di questi 2.500 più piccoli di un centimetro e spesso operabili con un intervento conservativo. A questi si aggiungono 2.400 carcinomi del colon-retto e quasi 15 mila polipi individuati prima che potessero diventare tumori. Tra maggio e giugno scorsi, la maggior parte delle Regioni ha ripreso le attività, quando possibile telefonando direttamente alle persone in lista, o inviando le lettere di invito.
di
Tiziana Moriconi
“Ancora non c’è uniformità”, dice Mantellini: “Per esempio, alcuni centri sono riusciti a organizzarsi meglio su un programma che non sugli altri, ma è una situazione in evoluzione. Ci sono regioni che stanno lavorando molto per recuperare gli esami saltati nel lockdown e altre che sono più in difficoltà. In questi mesi, però, abbiamo imparato a convivere con il virus e a gestire gli spazi, e credo che non si possa più ragionare nell’ottica di una nuova sospensione. Certamente – sottolinea l’esperta – è necessario mettere in atto le opportune misure e aumentare la disponibilità di personale”.
Tutto fermo durante il lockdown. Ovunque. Poi lentamente, da aprile, i centri di screening hanno ricominciato a funzionare. Con difficoltà, ma il sistema era ripartito. Ora, con la divisione in zone del Paese, cosa sta succedendo? Una fotografia completa ovviamente ancora non c’è. A Milano, la città che è nell’occhio del ciclone di questa seconda ondata di Covid-19, la macchina non ha spento i motori. “Siamo riuscendo a portare avanti l’attività, pur non senza fatica, ma dobbiamo evitare a tutti i costi una seconda chiusura”, racconta Maria Silvia Sfondrini: “L’adesione da parte delle donne stenta a tornare ai valori pre-Covid, perché molte di loro hanno paura a venire in ospedale. Prima, a regime, eseguivamo 70-80 mammografie al giorno, ora riusciamo a farne circa 50, per poter garantire il distanziamento. Ma ci sono stati giorni in cui si sono presentate meno di 40 donne”.
La sensazione, però, è che le cose stiano migliorando e che ci sia un po’ più di fiducia: “Quando abbiamo riaperto, abbiamo passato i mesi di aprile e maggio al telefono con le pazienti per cui erano programmati dei controlli o per le mammografie di secondo livello, cioè i richiami per dubbi, per far sapere loro che gli esami si sarebbero svolti in completa sicurezza. Ma la maggior parte non voleva venire”, ci dice Sfondrini: “Non sappiamo cosa comporteranno questi ritardi. Abbiamo l’impressione di osservare adesso qualche tumore in stadio avanzato in più rispetto al solito, ma andrà verificato con i dati. Oggi la paura c’è, ma molto meno, per fortuna”. Per quanto riguarda la clinica, alla metà di settembre, il centro aveva recuperato quasi tutte le pazienti in lista per i controlli: “Per ridurre al minimo i rischi, abbiamo completamente riorganizzato le modalità: mammografia ed ecografia, ad esempio, vengono fatte nello stesso posto, evitando così che le donne facciano due file e stazionino in corridoio, poi garantiamo il distanziamento, il ricambio d’aria, la disinfezione degli apparecchi. Per lo screening, inoltre, siamo aperti fino alle otto di sera. Anche la modalità di invito da parte delle Ats (Agenzie di tutela della salute) di Milano è cambiata: ora il contatto è telefonico. Questo sistema è sicuramente più efficace, ma non non sempre è sufficiente”.
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