Zingaretti è maestro nell'attesa. Ma questa volta il segretario del Pd, alla vigilia del voto sull'Europa e il Trattato Mes, è stufo di melina sul Mes sanitario, delle diatribe sulla cabina di regia per il Recovery Plan e delle riforme mancate, che erano nei patti e non se ne sta facendo nulla. Soprattutto però, Zingaretti deve prendere atto che mezzo Pd la pensa come Matteo Renzi, secondo il quale il premier Conte deve smetterla di fare "one man show" e cambiare metodi, a partire dalla cabina di regia in forma di piramide – premier, 3 ministri, 6 manager, 100 esperti – per gestire il Recovery Plan, che è la partita della vita per il Paese.
di
Giovanna Vitale
Italia Viva si smarca su tutto, mentre i Dem, in assetto filo governativo, mordono il freno. L'offensiva di Renzi insomma rischia di mettere il Pd in una strettoia politica: da un lato ci sono appunto i renziani che si muovono come barca corsara, riscuotendo consensi anche in casa democratica; dall'altro c'è l'esito scontato che i Dem finiscano di nuovo schiacciati su Conte. Potrebbero anche accodarsi all'ex segretario, che solo 15 mesi fa ha lasciato il Partito democratico per fondare Italia Viva con grandi speranze e però pochi consensi. Significherebbe riconoscere a Renzi in questi giorni una sorta di primazia per avere risposto colpo su colpo alle pretese dei 5Stelle, a partire dal Mes, e per cercare di bloccare le fughe in solitario di Conte e gli strappi.
di
Tommaso Ciriaco
"Noi dem siamo i bravi ragazzi che ogni volta salvano la baracca", ha detto Enrico Borghi, vicino al ministro Lorenzo Guerini. La corrente Base riformista è di certo in ebollizione. Sempre Borghi: "E' come quando uno sta sotto il crinale della montagna e un altro da lontano vede che sta staccandosi una valanga e avverte: "Spostati, perché arriva la valanga. L'altro gli risponde: "Ma va là, tu sei la vecchia politica. Ecco, abbiamo un problema".
Il problema è, in particolare per il Pd, mostrare il suo peso politico. Non essere gregario, né vedersi ridotto lo spazio d'azione. Al Nazareno usano parole misurate, però sulle riforme mancate, a cominciare dalla legge elettorale, sbottano: "Conte deve prendere in mano la situazione, altrimenti consegna le riforme istituzionali ai veti incrociati". E' un esempio, che rappresenta la cartina di tornasole del disagio dem.
La partita si gioca nelle prossime ore. Andrea Marcucci, il capogruppo al Senato, è tra i più netti nei confronti del governo: "Non si può vivacchiare così". Dario Stefàno, presidente dem della commissione Ue di Palazzo Madama, entra a gamba tesa: "Non è il tempo né il momento di dare seguito a nuove strutture che rischiano di sembrare bizantine. Staccare il Recovery da un controllo diretto e del Parlamento e del consiglio dei ministri tout court è due volte sbagliato: la prima, perché Conte in Parlamento aveva assicurato un ruolo centrale delle Aule; la seconda è perché la velocità e la semplificazione non passa certamente attraverso la moltiplicazione di poltrone e di incarichi".
La maggioranza giallo-rossa è una matrioska: agguantato un problema politico, se ne scoprono molti altri.
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