Anche la finanza può aiutare l'ambiente se è green, e cioè se si investe in progetti e prodotti finanziari che incoraggiano lo sviluppo di un'economia sostenibile. In particolare la climate finance che si concentra sulla lotta al cambiamento climatico e comprende una gamma di possibili prodotti dalle azioni ai, bond, agli investimenti pubblici e privati, in differenti settori: dagli impianti di rinnovabili alla conversione edilizia, dal risparmio di risorse alla protezione della biodiversità fino alla gestione dei rifiuti.
Un impegno riconosciuto nel 2016, anche dal G20 che ha riconosciuto ufficialmente e per la prima volta, la necessità di accelerare lo sviluppo della finanza green per raggiungere l'obiettivo di una crescita sostenibile. E lo stesso ha fatto l'Ocse con l'istituzione del Centre on Green Finance and Investment, un punto d'incontro tra settore pubblico e privato, nato con l'obiettivo di “sostenere la transizione verso un'economia verde, a basse emissioni e resiliente ai cambiamenti climatici attraverso lo sviluppo di politiche, istituzioni e strumenti efficaci” anche da un punto di vista finanziario. Nasce da qui il Global Green Finance Index, una graduatoria che indica quali sono le città europee più aperte alla finanza verde e che non vede alcun nome italiano. Per diffusione del settore, infatti, primeggiano Londra, Lussemburgo, Copenaghen, Amsterdam e Parigi, mentre per qualità dell'offerta ancora Londra, Amsterdam, Bruxelles, Amburgo e Parigi.
Ma davvero la finanza green ci salverà? E' un settore in forte crescita, confermano gli esperti, ma ancora ben lontano dal rappresentare una voce risolutiva del problema. Perché nella lotta ai cambiamenti climatici è il tempo il fattore cruciale e secondo i dati raccolti e presentati da Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca su ENERGIA 3.20, nonostante ci sia realmente uno spostamento della finanza mondiale verso le attività green, avviene con una velocità insufficiente perché ci vorranno almeno 250 anni per decarbonizzare totalmente la generazione elettrica mondiale.
Ma una speranza arriva dalle donne. L'investitore sostenibile radicale, insomma quello che davvero ci crede e ci mette impegno e denaro è: "Tipicamente di sesso femminile, di età compresa tra i 25 ed i 55 anni, geneticamente ed emotivamente preparate a fare scelte orientate alla preservazione del valore, si tratta di giovani professioniste, donne in carriera e madri di famiglia. La loro capacità di investimento è molto più alta di quella degli uomini, vuoi per questioni di elevata indipendenza finanziaria o perché influenti sul direzionamento del risparmio familiare, è molto più alta di quella degli uomini, e si attesta sui circa 6.000 euro annui".
Lo dicono gli analisti di Ener2Crowd.com, una piattaforma dedicata all'energy crowfunding e alla finanza green che, tracciando il profilo degli investitori etici rilevano come il sesso femminile "sia geneticamente, emotivamente e cognitivamente più preparato a fare scelte nel presente fortemente orientate alla preservazione del valore e ad una sua possibile crescita nel futuro".
Una vera sorpresa in un mondo ad alta predominanza maschile e un ritratto di investitrici e consumatrici altamente responsabili che, nonostante vivano prevalentemente in città, hanno una fortissuma attenzione per i temi ambientali, scelgono accuratamente i prodotti personali in base all'impatto che hanno sull'ecosistema e sono in grado di riciclare tutto, con dedizione e pazienza. I loro consumi sono guidati al 53% dalla fiducia nel brand, al 41% da quanto l’azienda è effettivamente i, al 38% per il packaging a basso impatto. E, infine, che preferiscono prodotti biologici e pratiche quotidiane sostenibili e usano di preferenza la bicicletta come mezzo di trasporto.
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