Estate 2019. Incassato il fallimento della prima stagione dell'era post Cristiano Ronaldo, Florentino Pérez è disposto a emendare i propri errori e costruire un Real Madrid all'altezza del figliol prodigo: Zinedine Zidane. Dopo aver detto, dodici mesi prima, che "non c'è bisogno di sostituire CR7 perché i suoi gol li segneranno Benzema, Bale, Asensio, Isco e tutti gli altri nostri attaccanti", il presidente galáctico decide di rendere di nuovo onore al proprio soprannome, mettendo sul piatto 325 milioni di euro che sommati ai 30 investiti in inverno su Reinier fanno 355. Oltre a compiacere il proprio schiribizzo di provare a scovare il nuovo Neymar junior – dopo Reinier arriverà Rodrygo e prima di loro era arrivato Vinicius junior: 125 milioni totali per tre under 18 – don Florentino si affida all'istinto e ai gusti del proprio allenatore scommettendo, tra gli altri, anche 115 milioni su un fuoriclasse consacrato (Eden Hazard), 63 su quello che è considerato uno dei migliori giovani centravanti del vecchio continente (Luka Jovic), e 48 su un terzino destro francese dalle gambe lunghe e potenti sebbene i suoi piedi siano tutt'altro che vellutati (Ferland Mendy). Qualsiasi altro allenatore si sarebbe dedicato a ringraziare pubblicamente il proprio presidente per i successivi sei, dodici, diciotto mesi. Zizou non ne sente il bisogno perché per convincerlo a tornare in sella alla squadra che con Julen Lopetegui e Santiago Solari in panchina aveva toccato il fondo, il presidente Pérez gli aveva assicurato che, qualora avesse accolto il suo grido d'aiuto, avrebbe esaudito tutti i suoi desideri. Un patto tra gentiluomini, per farla breve. Ed è per questa ragione che ad agosto inoltrato, dopo aver ottenuto tutto quello che puoi comprarti con 355 milioni, Zidane si permette il lusso di affermare, con la tranquillità che lo contraddistingue, che "fino alla fine del mercato può ancora succedere di tutto". Non si tratta di una frase buttata lì a caso, bensì di un solerte invito rivolto al proprio presidente con l'obiettivo dichiarato di spingerlo a fare l'ultimo sforzo, quello a lui più caro, strappando Paul Pogba al Manchester United. Il Polpo, come noto, non si muoverà dall'Old Trafford perché l'esplosione di Federico Valverde consegna a don Florentino la scusa perfetta per non investire oltre cento milioni su un calciatore che non è mai stato di suo gradimento.
Estate 2020. L'emergenza coronavirus ha messo in ginocchio mezzo mondo aprendo, nel nostro caso, enormi voragini nei bilanci di tutte le società. A essere maggiormente penalizzati, però, sono i top team europei, ossia quei club che ottengono buona parte dei propri ricavi grazie al fatturato extrasportivo. A soffrire le laceranti conseguenze del Covid 19 è, naturalmente, anche il Real Madrid che, però, grazie a un'attenta gestione riesce a trovare subito un accordo con i propri tesserati limitando, così, le perdite e riuscendo addirittura a chiudere il bilancio stagionale in attivo di 320 mila euro. Un vero e proprio miracolo se paragonato ai 97 milioni di passivo registrato, nello stesso periodo, dal Barcellona. Ciononostante, i blaugrana, sconfitti sul campo dal Real Madrid di Zidane, decidono di reinvestire sul mercato 119 dei 126 milioni incassati grazie alle proprie cessioni, a differenza della casa blanca che, nonostante i cento milioni racimolati dagli addetti alle vendite, rimane ferma, immobile. Zizou si accontenta del ritorno da San Sebastián, un anno prima del previsto, di Martin Odegaard, ceduto in prestito alla Real Sociedad. Anche in questo caso, il patto tra il presidente e l'allenatore merengues è chiaro e Zidane non ha problemi ad accettare che, fino a quando non si tornerà alla cosiddetta normalità, la priorità dovrà essere quella di mantenere in ordine i conti della società. Un principio di sostenibilità che il tecnico francese non solo accetta, ma condivide pienamente e, per questo, fa suo. Ed è per questa ragione che i due protagonisti principali, fuori dal campo, del Real Madrid si stringono di nuovo la mano, assicurando da un lato, quello dell'allenatore, che avrebbe provato in tutti i modi a fare di necessità virtù e dall'altro lato, quello del presidente, che, dodici mesi più tardi, avrebbe ricompensato la sua pazienza mettendo a segno il colpo a cui sta lavorando da oltre un anno: Kylian Mbappé.
Autunno 2020. Nessuno dei due, tuttavia, avrebbe mai potuto immaginare che, pochi mesi più tardi, la posizione di Zidane sarebbe stata messa in discussione da un incerto avvio di stagione che potrebbe sfociare, dopo la sconfitta della scorsa settimana contro lo Shakhtar Donetsk, in quella che sarebbe un'umiliante eliminazione autunnale dalla Champions League. Uno scenario apocalittico per la società che in bacheca ha 13 Coppe dei Campioni e che, da quando la Uefa ha inserito una fase a gironi, nel formato della massima competizione continentale, l'ha sempre superata. Per capire quando grande e mortificante possa essere l'ipotesi di dover dire addio già a dicembre alla Champions, basti pensare che buona parte dell'orgogliosamente superba tifoseria blanca preferirebbe arrivare quarta piuttosto che essere costretta, obtorto collo, a disputare l'Europa League. Un downgrade inammissibile per chi sente, per definizione, padrone del gioco del calcio. Un po' come quel bimbo che, giocando con gli amici in piazza, crede di godere di uno status privilegiato per essere stato lui a portare il pallone. Ed è per questo motivo che, in questo contesto, non dovrebbe sorprendere più di tanto che anche l'allenatore capace di vincere tre Champions consecutive possa essere messo rapidamente alla gogna. Ed è proprio quello che è successo nei quattro giorni che hanno separato la sconfitta di Kiev contro lo Shakhtar dalla vittoria di Siviglia. Giorni che per stessa ammissione di Zizou "non sono stati facili". E, del resto, non dev'essere stato semplice ritrovare la concentrazione necessaria per ripartire mentre sia fuori che dentro a Valdebebas si cominciava a commentare i nomi dei suoi possibili sostituti, Mauricio Pochettino e Raúl González Blanco, nel caso in cui dovesse andar male, domani sera, contro il Borussia Mönchengladbach: "Dimettermi? Assolutamente no", ha fatto sapere il tecnico francese che, nelle ultime settimane, oltre a perdere qualche partita ha perso anche il sorriso: "Mi sento assolutamente sostenuto dal club", ci ha tenuto a sottolineare alla vigilia della gara vinta, poi, al Pizjuán. Non c'è dubbio che Zizou creda fortemente al gentlemen's agreement siglato con una stretta di mano con il numero uno blanco. Resta da capire se, anche in caso di eliminazione, don Florentino avrà la forza (e la voglia) di rispettare il loro patto e non tradire, così, la fiducia di Zidane. La traiettoria calcistica di Pérez racconta di un presidente che non si è mai fatto problemi a offrire la testa del proprio allenatore quando l'opinione pubblica madrilena ha chiesto a gran voce la sua. Insomma, altro che biscotto. Zizou proverà in tutti i modi a vincerla la partita e, se arrivato a un certo punto, capirà che per salvare la testa dovrà accontentarsi di un pareggio, lo farà. Come farebbe qualsiasi altro allenatore al suo posto.
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