MILANO – Le foto intime scattate con uno dei suoi smartphone, i video hard spediti nelle chat con gli amici, i commenti espliciti sulle ragazze che terminavano la serata nella sua camera da letto, a porte chiuse e ben custodite dai bodyguard. Esibite come trofei. Come prede di una caccia danarosa e tossica. Se violenta, se sadica, quante volte, starà ora agli investigatori scoprirlo. Ma ce ne sarebbero a decine, di quelle riprese che Alberto Genovese amava condividere con la sua cerchia di amici e factotum, di procacciatori di modelle da invitare alle feste di Terrazza Sentimento e di fornitori di cocaina e 2CB, la droga sintetica e stordente utilizzata dall’imprenditore prima e durante lo stupro e le torture ai danni di una 18enne, sequestrata e seviziata per 17 ore tra il 10 e l’11 ottobre scorso. Sono troppe e troppo convergenti le testimonianze raccolte a verbale su quelle foto e quei video, nell’inchiesta condotta dal pubblico ministero Rosaria Stagnaro e dal procuratore aggiunto Letizia Mannella, per ritenere che si tratti di leggende metropolitane.
10 Minuti – La videoinchiesta. “Terrazza Sentimento”, la notte degli abusi
Tocca adesso agli specialisti della quarta sezione della Squadra mobile milanese, guidata dal dirigente Marco Calì, setacciare la mole di immagini scaricata da due tablet e dei tre telefoni di Genovese: solo per uno degli apparecchi, trovato all’interno della cassaforte dell’attico con piscina e vista Duomo (insieme a 40mila euro in banconote per le spese correnti), magistrati e poliziotti attendono che venga fornito il pin per sbloccarlo. I legali di Genovese hanno promesso di fornirlo a breve, come già accaduto per gli altri due smartphone.
Genovese, ipotesi maxi risarcimento. E i legali della vittima se ne vanno
di
Luca De Vito
Le analisi informatiche potrebbero fornire preziosi riscontri alle testimonianze, finora vaghe, su presunti ulteriori stupri commessi dall’ex enfant prodige delle start-up assicurative. Elementi per consentire agli investigatori di raccogliere altre denunce da potenziali vittime. Che finora — tra timori e ricordi annebbiati dalle sostanze — non si sono fatte vive, a parte il caso della 23enne amica della prima vittima, l’unica a formalizzare in querela quanto aveva raccontato in questura: stordimento da cocaina e violenza subita durante una vacanza a Villa Lolita, al sole di luglio di Ibiza.
“A casa di Genovese ho temuto di morire e danno la colpa a me”
di
Sandro De Riccardis
Un'aggressione che, finora, Alberto Genovese non ha ammesso. L’unico riferimento alle sue gite in jet privato verso le Baleari, circondato da una corte adorante e da bottiglie millesimate, è ai suoi esordi da tossicodipendente: «Iniziai con la cocaina ad agosto del 2015 — ha raccontato ai pm — ero in un albergo di Formentera. Da lì, ho continuato a lavorare sul serio ancora per un anno, ma mi circondavo di persone più colte e più forti di me». Dopo? «Non lavoravo più, non accendo un computer da più di tre anni, non entravo neanche negli uffici della mia società».
Alberto Genovese, il racconto della seconda presunta vittima: "In camera secondo me anche la sua fidanzata che poi mi ha chiesto scusa"
di
Sandro De Riccardis
Di sé, il 43enne imprenditore napoletano, detenuto a San Vittore, continua a proiettare l’immagine del tossico fuori controllo: «Quando feci cancellare le telecamere, fu anche per paura, con la polizia fuori dalla porta, droga ovunque. E quella notte che poteva apparire come una violenza sessuale». Lo era, ben oltre l’apparenza.Original Article
Commenti recenti