Berkun Oya ha portato la Turchia sul lettino dell’analista, l’ha fatta distendere, l’ha fatta parlare, ha ascoltato i suoi silenzi e ha dissezionato tutto. E così Ethos, Bir Baskadir in turco, è diventata una specie di grande autoanalisi collettiva, senza un finale condiviso e con infinite polemiche di sottofondo: un ritratto fedele di quel che è oggi la Turchia di Erdogan o un prodotto stereotipato e pieno di cliché? E soprattutto: cos’è la Turchia di Erdogan, la periferia rurale conservatrice o l’Istanbul ribelle o tutte queste cose insieme?
La serie tv turca, in onda su Netflix da metà novembre, ha scatenato un intenso dibattito nei circoli intellettuali e in rete. Incentrata sui legami psicologici più che sui colpi di scena, tiene insieme le vite di diversi personaggi partendo da quella di Meryem, una giovane donna velata che vive in un quartiere povero della periferia di Istanbul e lavora come collaboratrice domestica per un uomo single, libertino e benestante che abita in centro città. I suoi continui svenimenti la portano dallo psichiatra, Peri, un ricco bianco e istruito che guarda con diffidenza alle donne che indossano l’hijab.
La vita di Meryem, che vive un’infatuazione tormentata per il suo datore di lavoro, si intreccia con quella della figlia lesbica di un imam che non sa come dire al padre che non vuole più indossare il velo; di una famiglia curda attiva in politica che paga il prezzo del suo impegno; con quella di una donna sopravvissuta a uno stupro e di un soldato finito a fare il buttafuori.
Alcuni dei temi di Ethos – come la divisone tra una Turchia più aperta e cosmopolita delle città e una più conservatrice delle zone rurali – sono comuni a molte serie tv turche, ma altri come la vita nel mondo Lgbtq turco sono una relativa novità per un prodotto destinato a un pubblico di massa.
Sina Kologlu, critico cinematografico del quotidiano Milliyet, ha tessuto le lodi della serie capace di attraversare le molte sfumature della società turca contemporanea: "Identità etniche, il velo, laici versus conservatori, gay e transessuali – è tutto lì”, ha scritto. I critici l’accusano invece di aver messo insieme un mix di cose senza riuscire ad approfondire in fondo nulla, e costruendo personaggi molto stereotipati.
Oray Egin, editorialista del quotidiano Haberturk, l’ha criticata per la sua "visione orientalista" nei confronti dei conservatori e per la caricatura delle élite laiche. "La caratterizzazione delle élite secolari come di persone che vivono in una villa, guardano HalkTV e leggono Yilmaz Ozdil sull’iPad è il tipico disprezzo di sé dell'intellighenzia turca”.
Comunque la si guardi, Ethos segna un ulteriore passo in avanti di un’industria – quella delle serie tv turche – che è diventata un fenomeno internazionale, la seconda industria di serie al mondo. Il merito è anche di Izzet Pinto, un ebreo turco di 42 anni che ha fondato l’agenzia di distribuzione della Global Agency, “considerata oggi il più grande distributore indipendente al mondo", secondo il quotidiano Haaretz .Original Article
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