Bruciato Sacchetti a mezzogiorno di domenica e Djordjevic alle otto della sera di lunedì, solo l'esagerata Bologna detta Basket City poteva mandare al rogo i suoi due allenatori nel giro di 32 ore. La Fortitudo ha già assunto Luca Dalmonte per provare a risollevarsi dall'ultimo posto in classifica: esordirà sabato a Pesaro. La Virtus, che è terza e prima nel girone di Eurocup, sta vagliando un mazzetto di nomi prestigiosi: cercati Scariolo, Obradovic, Banchi, si vedrà già oggi chi vorrà approfondire il contatto. Aspettando il vincitore della riffa per occupare una panchina ambiziosa e pericolosa, tutto il basket d'Italia sorpreso dalla caduta del fulmine si chiede come e perché si sia chiusa l'avventura di Sasha Djordjevic alla guida della Virtus, all'indomani della sconfitta contro Sassari, la quarta interna di fila, della sua espulsione dopo soli 8' di gioco, e del mancato impiego di Marco Belinelli, la stella Nba tornata a casa fra clamori e pompe magne, poi mestamente rimasto in panchina, in un esordio che richiamato (e poi fortemente irritato) pure la Rai per la diretta sul canale sportivo. La somma di queste concause, pesate in vario modo da lunedì sera, ha prodotto un divorzio voluto insieme da società e proprietà, intesa questa come Massimo Zanetti, titolare del marchio Segafredo, che nel basket sta investendo milioni per duellare con Milano per lo scudetto e farsi largo anche in Europa. Uno strappo dopo un lungo logorìo. Accostando indizi, affiora questa prova.
La parabola ascendente di Djordjevic, arrivato alla Virtus nella primavera del 2019 a rilevare Ramagli e subito in gol con la conquista della Champions, si arresta dodici mesi dopo, in quella del 2020, quando il Covid le confeziona il pacco della grande incompiuta. Il basket si ferma, i numeri eccellenti che rispecchiano il dominio della Segafredo (31 vittorie, 8 sconfitte, in quattro manifestazioni diverse), si cristallizzano in rimpianti, senza peraltro avviare le pratiche per un'estensione del contratto in essere fino al 2021. Il tecnico in cuor suo le reputa doverose, il club premature. Lì si tira ancor di più una corda già tesa, comunque, per ricorrenti dissidi sul ruolo del tecnico che dai princìpi si propagano ai caratteri, forti, di qua e di là, fino all'asprezza. Djordjevic ha una visione dell'allenatore al centro del sistema società, motore d'ogni scelta, sopra di lui disegnano invece perimetri invalicabili per il tecnico e l'invitano a rispettarli. La Virtus è retta da una filiera linearmente semplice: al vertice il proprietario, sotto di lui l'ad Luca Baraldi suo braccio operativo, poi Paolo Ronci, ufficiale di collegamento con l'area tecnica, separata, anche fisicamente, nella geografia della nuova sede. Nominalmente autonoma, ma soggetta alla gerarchia. Poi, al coach, tocca vincere, allestita forte e costosa. Di tre tornei, almeno uno. L'Eurocup, potendo, che apre le porte dell'Eurolega. Lo scudetto, come somma libidine, acclarata che quella con Milano non è più solo una rivalità di palloni. L'arrivo di Belinelli, a 5 milioni per tre anni, accorcia appunto quella distanza, acquattata ora la Vu alle spalle dell'Armani, pronta ad aggredire un'eventuale implosione della favorita. Intanto, le ha rubato l'idea: la prima a implodere è stata lei.
La nuova stagione, dunque, mostra incanti dissolti rispetto a quella interrotta. S'infittiscono i chiaroscuri, il tecnico ondeggia, i suoi pretoriani in campo faticano a brillare. Servono mesi per uscire dal tunnel del Covid a Markovic, mago degli assist, ieri sera sbottato in un tweet di critica durissima al club, fornendogli, secondo alcuni, l'assist perfetto per avviarlo al capolinea. S'accende e si spegne Teodosic, stella pure da 5 milioni in tre anni, trattato e preso direttamente da Djordjevic, simbolo un'estate fa d'una rinascita legata ad un nome tra i più abbaglianti d'Europa. Arriva infine Belinelli, il colpo mediatico della casa Segafredo che sulle grandi firme fa robusto ad assiduo marketing. Poi però sta subito a guardare e il vaso tracima, e lo fa proprio nello scivoloso confine tra le varie competenze. L'esclusione decisa dal tecnico è legittima, se il giocatore non viene giudicato pronto, e se lo sport rimane una misura e una sfida di opposti agonismi. Cozza però con l'operazione di immagine varata nel superiore interesse del club, che se ne va in pezzi, genera proteste e malumori, esplode in ire funeste. Come scorra, sull'abortito Belinelli Day, la comunicazione tra le due aree lo sanno solo gli interessati, ma ormai poco rileva, poiché quel che resta è il conto portato in tavola al coach, che paga questo e pranzi e cene precedenti. Finisce lì, ma è un rapporto saturo, da tempo senza pronostici di futuro su tempi lunghi. Neppure così brevi, però. Senza mai guidare Belinelli in battaglia.
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