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Bob Dylan vende tutto alla multinazionale (e incassa 300 milioni…)

Bob Dylan una ne fa e cento ne incassa. Stavolta ha venduto il suo intero repertorio alla Universal, una delle multinazionali discografiche più grandi e potenti del mondo. In poche parole, è la più grande acquisizione di diritti d'autore per un solo artista che sia mai stata effettuata, almeno dopo quella di una parte del catalogo Beatles. I conti sono presto fatti. Il repertorio di questo artista comprende circa 600 canzoni e l'operazione si stima valga circa 300 milioni di dollari, quindi Bob Dylan vale all'incirca mezzo milione di dollari a canzone. Un calcolo superficiale, certo, perché ci sono brani che hanno cambiato la musica (ma non solo) e altri che invece sono scivolati via come l'acqua sul marmo. "Non è esagerato dire che il suo lavoro abbia conquistato l'amore e l'ammirazione di miliardi di persone nel mondo", ha comunque spiegato Sir Lucian Grainge "chairman" della Universal destinato a passare alla storia della sua azienda per questa colossale operazione. Fino ad ora, Bob Dylan ha controllato direttamente tutte le sue canzoni, una scelta che fece tantissimi anni fa dopo il primo contratto, quello con la Leeds Music, che includeva sette canzoni tra le quali Song for Woody. Da allora Dylan è stato il padrone di se stesso, o per lo meno dei propri brani. Adesso cambia tutto. Conoscendo Dylan, di certo la scelta dipende dalla prospettiva di un maggiore guadagno, ma non solo.

Il mondo discografico oggi è estremamente più complesso e variabile rispetto a quello conosciuto (benissimo) da Dylan. Siamo in una nuova fase e la grossa cilindrata della Universal può garantire più stabilità e prospettive a un repertorio che è inevitabilmente legato allo scorrere del tempo.

È un passaggio epocale (e non sarà di certo l'unico tra le grandi superstar) che da una parte fa sorridere se si pensa alle grandi battaglie "anticapitaliste" sostenute da questo artista all'inizio della carriera. Ma dall'altra è un segno dei tempi, oltre che un'assicurazione sulla vita (postuma) di uno dei più prolifici e creativi compositori folk/rock del Novecento. Non a caso, tra le centinaia di titoli che passano sotto il controllo della Universal, soltanto uno non è stato scritto da Dylan, anche se lui ne possiede comunque il copyright: è The weight di Robbie Robertson, uno dei componenti della Band. "Non è un segreto che l'arte di scrivere canzoni sia la chiave fondamentale per tutta la grande musica, né è un segreto che Bob Dylan sia uno dei più grandi praticanti di quell'arte", dice sempre Grainge.

Invece Jody Gerson, amministratore delegato della divisione editoriale di Universal, ha aggiunto: "Rappresentare la produzione artistica di uno dei più grandi cantautori di tutti i tempi – la cui importanza culturale non può essere sopravvalutata – è sia un privilegio che una responsabilità". Insomma tutti i brani composti in circa sessant'anni cambiano proprietario. Da quelli di The Freewheelin' Bob Dylan del 1963, che si apriva con la epocale Blowin' in the wind fino a Rough and Rowdy Ways del giufgno di quest'anno che debuttò direttamente al secondo posto della classifica americana. Le canzoni del futuro, se ce ne saranno, sono escluse da questo accordo e su questo si faranno molte riflessioni. In ogni caso, il cuore dell'accordo riguarda i superclassici di questo autore, l'unico insieme con George Bernard Shaw, che sia riuscito a vincere sia un premio Oscar (nel 2001 per Things Have Changed dal film Wonder Boys) che un Premio Nobel (nel 2016). Ci sono composizioni di Dylan che sono autentiche miniere d'oro come, appunto Blowin' in the wind oppure The Times They Are a-Changin' o Mr Tamourine man o ancora Knockin' on heaven's door, Like a rolling stone, Lay lady lay, It's all over now, Baby Blue. È un canzoniere che racconta la seconda metà del Novecento, le battaglie per i diritti civili, le utopie, il cosiddetto impegno sociale. Spesso sono diventate bandiere ideologiche probabilmente ben oltre gli intenti di Bob Dylan, sicuramente ispirato, senza dubbio capace di scrivere ma molto più spregiudicato che idealista. Come dimostra anche quest'ultima (grandiosa) mossa commerciale.

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