NEW YORK – Aprire le terre protette dell'Alaska alle trivellazioni. E' l'ultimo colpo che l'amministrazione Trump sta cercando di sferrare all'ambientalismo, accelerando l'asta per le licenze nell'Arctic National Wildlife Refuge, in modo da venderle prima dell'ingresso di Biden alla Casa Bianca. Il problema però è che oltre alla prevedibile resistenza degli ecologisti, il suo colpo di mano si scontra anche con lo scarso entusiasmo delle compagnie petrolifere, e la crescente resistenza delle banche a finanziare progetti che minacciano di avere poi pesanti ripercussioni negative sulla loro immagine.
L'Arctic National Wildlife Refuge è una riserva nel nord dell'Alaska che copre 19.286.722 acri di terreno, ossia 78.050 chilometri quadrati, che corrispondono a circa un quarto della superfice dell'Italia. Protegge decine di piante e animali, come orsi polari, grizzly, alci, caribou. Ma nella zona chiamata 1002 Area, quasi 1,6 milioni di acri affacciati sull'Oceano Artico, si stima che siano presenti miliardi di barili di petrolio. La North Slope, ossia l'area confinante di Prudhoe Bay, è aperta all'estrazione di greggio e gas da quasi mezzo secolo, e quindi da quarant'anni si discute di fare lo stesso nell'Arctic National Wildlife Refuge.
Trump era andato alla Casa Bianca con la promessa di allargare il perimetro dei territori aperti alle perforazioni, per motivi tanto imprenditoriali, quanto ideologici. E questo ha fatto, dai deserti dello Utah all'Alaska, con l'obiettivo di aumentare la produzione di energia, creare lavoro, eliminare o ridurre la dipendenza da complicate fonti di approvvigionamento come quelle mediorientali, e dare un colpo agli ambientalisti.
Dopo la sconfitta elettorale del 3 novembre, anche se non l'ha ancora riconosciuta, la sua amministrazione ha deciso di accelerare i progetti in Alaska. Nel 2017 il Congresso, allora a completa maggioranza repubblicana, aveva dato via libera alle aste per l'assegnazione delle licenze, di cui la prima doveva avvenire non più tardi della fine del 2021. Il 17 novembre scorso l'amministrazione ha lanciato la "call for nominations", cioè l'invito alle compagnie interessate di comunicare in via riservata su quali terreni vorrebbero condurre le trivellazioni. In teoria questo periodo di presentazione delle proposte sarebbe dovuto durare 30 giorni, ma il 3 dicembre il governo ha già annunciato che le aste si terranno il 6 gennaio prossimo, ossia a due settimane dall'Inauguration di Biden. Questo perché vuole assegnare le licenze prima dell'insediamento della nuova amministrazione, contraria all'apertura dell'Arctic National Wildlife Refuge.
L'operazione però non è facile, e i problemi davanti a cui si trova Trump sono almeno quattro. Il primo è l'opposizione degli ambientalisti e di alcune popolazioni indigene, che già si preparano a fare causa, appigliandosi al fatto che l'amministrazione non ha seguito i tempi previsti per la procedura delle aste. Il secondo è lo scarso interesse delle compagnie petrolifere, perché la crisi economica provocata dal Covid ha fatto scendere molto il prezzo del greggio, e ai livelli attuali i forti investimenti necessari a sviluppare i pozzi della 1002 Area non sarebbero giustificati e convenienti. Il terzo è che le banche, davanti alla resistenza del pubblico e ai potenziali danni di immagine, sono diventate timide. Goldman Sachs, Barclays, Lloyds e JP Morgan Chase hanno già annunciato di non essere disposte a finanziare progetti nell'Artico. Il quarto è la posizione dell'amministrazione Biden, che non solo è contraria ad aprire l'Arctic National Wildlife Refuge, ma ha un programma ambientalista che punta a rendere gli Usa "carbon neutral" entro il 2050.
Se questa è la tendenza del paese, investire così tanto in nuove risorse petrolifere non avrebbe molto senso in generale. Una volta alla Casa Bianca poi Biden potrebbe cancellare i permessi, per quanto sarebbe difficile, oppure ostacolare così tanto la loro utilizzazione da renderli inutili o non abbastanza profittevoli. Naturalmente alcune compagnie potrebbero decidere di partecipare all'asta e assicurarsi comunque le licenze, mettendole poi nel cassetto in attesa che arrivi una nuova amministrazione non ostile alle perforazioni in Alaska. Questa però sarebbe una scommessa di lungo termine, e senza garanzie di funzionare.
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