Oltre 3.600 positivi nella giornata di sabato, altri 3.400 ieri e un indice Rt a 1,13. Il Veneto supera la Lombardia e scala la classifica nera delle regioni maggiormente colpite dal Covid. Il governatore Luca Zaia esamina i dati, sente gli scienziati con cui lavora fianco a fianco dall’inizio della pandemia, e poi lancia un appello ai veneti: «Attenzione, la zona gialla non resterà a vita. Se non si rispettano le regole arriveranno le restrizioni».
Presidente Zaia, cosa sta succedendo al Veneto?
«Bisogna saper leggere i dati. È vero che abbiamo un numero alto di positivi ma facciamo 60 mila tamponi al giorno. I numeri assoluti, da soli, non significano niente».
Però sono comunque indicativi del fatto che il virus galoppa.
«Il 21 marzo scorso, con 2.170 tamponi avevamo 412 positivi. Pochi, verrebbe da dire. In realtà l’incidenza si attestava sul 20 per cento. Oggi il numero di positivi sembra alto ma la verità è che siamo al 6,93 per cento. Altro parametro chiave è la percentuale di tamponi eseguiti sulla popolazione: solo con questo indice possiamo confrontare i dati delle regioni. E poi c’è un altro aspetto chiave».
Quale?
«Noi siamo quelli con il contact tracing più alto in Italia: l’85 per cento. Quando c’è una persona positiva noi intercettiamo i colleghi di lavoro, gli amici, i familiari. E tamponiamo tutti. L’infezione c’è ma la stiamo gestendo».
C’è un altro dato preoccupante che riguarda il Veneto: il 50 per cento dei pazienti che entra in terapia intensiva muore. Perché?
«Sì, in terapia intensiva si muore ma noi abbiamo due livelli intermedi molto importanti prima. Ci sono le cure domiciliari con i medici di base e le unità speciali Usca, che sono il primo sbarramento. Poi ci sono i pazienti seguiti in ospedale. Chi arriva in Rianimazione è davvero grave».
Anche il numero di ricoverati supera quello di marzo: oggi sono 3.100 contro i 2.400 di allora.
«Il virus corre di più perché non abbiamo fatto il lockdown. I cittadini devono capire che non devono creare assembramenti e invece, a volte, continuano a incanalarsi in situazioni potenzialmente rischiose».
È cambiato lo spirito?
«Un po’ sì. A marzo avevamo tutti paura di morire. Ora il virus è ritenuto un problema che riguarda solo gli ospedali».
È preoccupato per la situazione della sua regione?
«Sì, sono preoccupato ma bisogna leggere bene i dati. Ora abbiamo in cantiere uno studio con l’Università di Padova: uno screening su una popolazione indistinta. Creiamo un campione rappresentativo e andiamo a misurare l’incidenza del contagio. Chi ogni giorno si reca a fare tamponi lo fa perché pensa di aver avuto qualche contatto con il virus. Noi invece partiamo da un altro presupposto e ci chiediamo: quanto è malata la popolazione?»
Come si stanno comportando i veneti in zona gialla?
«C’è molta responsabilità ma c’è ancora chi non teme gli assembramenti. Gli indicatori sono da zona gialla ma non possiamo gongolare. Si può cambiare da un momento all’altro e il giallo può diventare rosso».
Crede ancora nei tamponi fai-da-te?
«Certo, saranno il futuro. Anzi, rilancio: usiamoli per salvare il pranzo di Natale con i parenti».
Ci sono suoi colleghi, come Michele Emiliano in Puglia, che non vogliono passare al colore giallo per paura di un rilassamento generale.
«È sempre stata la mia grande preoccupazione. Il giallo impone un grande senso civico, oltre che di responsabilità. Questo, al momento, ci sta aiutando. Anche se con i ristori ci sta penalizzando».
Com’è la situazione dal punto di vista economico?
«Un disastro. Abbiamo perso 65 mila posti di lavoro, 35 mila dei quali nel turismo. Eravamo la regione con il tasso di disoccupazione più basso d’Italia, al 6,6 per cento. Avevamo un Pil di 160 miliardi. L’ultimo treno è il recovery fund. Se viene disperso in mille rivoli è la fine».Original Article
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