Nicolás Maduro ha vinto le elezioni legislative del Venezuela. Con l’80 per cento delle schede scrutinate il suo partito, il Partido socialista unido de Venezuela (Psudv), si è assicurato il 67,6 per cento dei voti, contro il 18 incassato dalle altre formazioni. Una vittoria scontata e prevista da tutti i sondaggi. L’astensione è stata del 69 per cento, il dato più alto degli ultimi dieci anni.
L’assenza dei partiti dell’opposizione, che hanno definito una “farsa" la consultazione, ha spianato la strada al capo del regime: ha conquistato anche l’ultima istituzione che non controllava. Si chiude così, nel peggiore dei modi e senza alcuna possibilità di un reale confronto tra le forze che si dividono e si combattono da quattro anni, l’ultimo capitolo della tragedia venezuelana. Maduro si trova a gestire anche l’Assemblea nazionale che dopo alcune riforme e modifiche del Tribunale Supremo ha aumentato il numero dei seggi a 227. Il Parlamento tornerà ad avere le funzioni che gli erano state esautorate dallo stesso Maduro e affidate a un’Assemblea nazionale costituente, un organismo parallelo chiamato a elaborare una nuova costituzione ma che svolgeva nei fatti compiti legislativi.
La conquista del Parlamento monocamerale ottiene un altro risultato: Juan Guaidó, presidente di turno e per questo, in virtù di un articolo della Costituzione, nominato presidente transitorio del Venezuela, non sarà più legittimato a ricoprire il ruolo che gli era stato riconosciuto da 60 paesi del mondo.
L’ingegnere e leader di Voluntad Popular non si è candidato alle elezioni. Così come decine di esponenti del cosiddetto 4G, il raggruppamento nato sulle ceneri della vecchia Mud, la Mesa de Unidad democrática, dissolta due anni fa per dissidi interni. L’altro grande leader, Leopoldo López, è da un paio di mesi rifugiato in Spagna dopo aver trovato riparo per un anno e mezzo nell’ambasciata iberica a Caracas. Il terzo dirigente di spicco, Henrique Capriles, aveva proposto una partecipazione alle elezioni ma davanti alle perplessità della Ue che parlava di “mancanza di garanzie democratiche e di trasparenza nei risultati” ha deciso anche lui di gettare la spugna.
In campo sono rimasti solo tre piccoli partiti, espressione di un’opposizione tiepida, più di facciata che di sostanza. Non avranno alcun peso nella futura Assemblea nazionale. Il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha ribadito che “l’elezione di domenica è stata una farsa”. Non verrà riconosciuta neanche dall’Organizzazione degli Stati Americani (OAS).
Maduro appare sereno. Dopo aver deposto la sua scheda nell’urna, con i seggi ancora aperti, ha affermato che le elezioni segneranno l’inizio di una vera ripresa in Venezuela. “Abbiamo avuto la pazienza, la saggezza di aspettare questa ora, di aspettare questo giorno e di sbarazzarci di questa disastrosa Assemblea Nazionale”, ha aggiunto. Poi, senza citarli, ha accusato Juan Guaidó e i vicepresidenti del Parlamento, Julio Borges e Henry Ramos Allup: “Sono stati cinque anni di disastri. Hanno nome e cognome quanti hanno invocato e fatto applicare le sanzioni economiche provocando enormi sofferenze al nostro popolo”.
Tra i pochissimi osservatori internazionali presenti, l’ex primo ministro spagnolo Luis Zapatero ha chiesto a Bruxelles di riconsiderare la sua posizione, visto che non riconosce il nuovo Parlamento, e di avviare una riflessione sulle sanzioni Usa. Maduro ha bisogno di uscire dall’isolamento internazionale. Non gli basta l’appoggio di Cina, Russia e Turchia. Punta sulla Ue e sulle sue diverse sensibilità verso il regime di Caracas. Un modo per premere sul nuovo inquilino della Casa Bianca e invitarlo a cambiare rotta.Original Article
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