Non sono stati soltanto i Di Silvio di Campo Boario a trasformarsi in un'associazione per delinquere di stampo mafioso. La pericolosa evoluzione criminale, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Roma, sarebbe stata compiuta anche da un altro clan della famiglia di origine nomade, che da tempo ha messo radici a Latina e che è legata a doppio filo ai Casamonica di Roma, il clan di "Romolo".
Contestando loro a vario titolo i reati di violenza privata, rapina ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, su ordine del gip del Tribunale di Roma, la squadra mobile di Latina ha eseguito questa mattina cinque arresti. Un blitz a cui ha preso parte anche il personale del Servizio centrale operativo, della squadra mobile di Roma, e dei Reparti prevenzione crimine. A finire in manette Costantino Di Silvio, detto Costanzo, di 57 anni, Antonio Di Silvio, detto Patatino, di 28 anni, Ferdinando Di Silvio, detto Prosciutto, di 23 anni, Ferdinando Di Silvio, detto Pescio, di 18 anni, e Luca Pes, di 30 anni.
Uomini del clan che già in passato sono stati coinvolti in diversi episodi criminali, vecchie e nuove leve, tutti coinvolti in quell'escalation che dal 2010 in poi ha portato a contestare alle famiglie nomadi di Latina prima di aver dato vita a un'associazione per delinquere, oggetto di pesanti condanne nel processo denominato "Caronte", e poi alla mafia. La nuova indagine, denominata "Movida Latina", dalla questura di Latina precisano che rientra negli approfondimenti che l'Antimafia di Roma sta conducendo in terra pontina "anche rispetto alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia".
I cinque arrestati sono tutti uniti, tranne Pes, da legami stretti di parentela e fanno parte del clan di Giuseppe Di Silvio, detto Romolo, da tempo in carcere insieme al nipote Costantino Di Silvio detto Patatone, avendo ucciso, nell'ambito proprio della cosiddetta guerra criminale del 2010, Fabio Buonamano, detto Bistecca. I reati contestati ai cinque sono stati consumati negli ultimi due anni e, per gli inquirenti, "mostrano l'utilizzo di un metodo tipicamente e tradizionalmente mafioso, caratterizzato dalla prospettazione di ritorsioni, dal riferimento esplicito ad un clan di appartenenza, dall'affermazione di un controllo del territorio da cui deriva il potere di imporre il "pizzo", la protezione sia ad attività commerciali che a privati".
Pronunciare il nome di "Romolo" avrebbe permesso agli indagati di veder subito le vittime piegare la testa e tacere davanti ai soprusi subiti. Ecco dunque che "Patatino", dopo aver saputo di una lite condominiale degenerata in un'aggressione messa in atto da alcuni pregiudicati ai danni di famiglia ospite in un quartiere popolare di Latina, avrebbe offerto a quest'ultima la "protezione", costringendola a consegnargli la somma di 400 euro in contanti.
Ad accompagnarlo dalle vittime, in diverse occasioni, sarebbero stati "Costanzo" e "Prosciutto", pretendendo "per il disturbo dell'intera famiglia" altro denaro, tanto che in un caso avrebbero persino rapinato una delle vittime per farsi consegnare altri 500 euro. Ancora: nel settembre 2019 "Patatino" e "Pescio" avrebbero simulato in pieno centro un incidente stradale, accusando falsamente un giovane di averli investiti con la propria vettura, minacciandolo e alla fine proponendogli di risolvere la questione pagando. Quella stessa notte i genitori del ragazzo sarebbero stati così costretti a recarsi a Campo Boario, roccaforte dei Di Silvio, a portare i soldi.
"Costanzo" inoltre, avrebbe imposto la "protezione", a uno dei locali della zona della movida e da lì il nome dato all'inchiesta. Per un anno, a partire da maggio 2018, con la complicità anche di Pes, avrebbe costretto i gestori dell'attività a consegnargli denaro e avrebbe cercato di estendere l'attività di spaccio di droga, specificando alle vittime che nel caso in cui fosse stata spacciata droga nel locale avrebbero dovuto essere i loro rifornitori.
Quando le vittime hanno provato a ribellarsi, "Costanzo" le avrebbe alla fine minacciate di bruciare il locale, affermando che quella piazza era sotto il controllo della famiglia Di Silvio ed escludendo così anche possibili controlli da parte delle forze dell'ordine.
E sempre nella zona dei pub "Patatino" avrebbe minacciato un giovane, mostrandogli una pistola e facendosi consegnare del denaro. La stessa zona dove, oltre cinque anni fa, Antonio Di Silvio, minacciando il titolare di uno dei locali, lo rapinò del denaro che aveva in cassa. E le indagini della Dda di Roma e della Mobile di Latina proseguonoOriginal Article
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