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Milan davanti, Inter subito dietro: è tornato il derby dello scudetto

Dopo 10 giornate di campionato il Milan ha 7 punti di vantaggio sulla quinta in classifica, il Sassuolo. Significa che l'obiettivo minimo della stagione, il ritorno in Champions League, stavolta è più concreto che mai. L'Inter è seconda a 5 punti, ma la sensazione è che non abbia ancora raggiunto il massimo delle sue possibilità. Milano si ritrova davanti, dopo anni sofferti da comprimaria, eppure non fa mostra di credersi imbattibile, anzi. Altro che ganassa, nessuna fanfaronata. Semmai, come dicono i milanesi, è tempo di laorà, di lavorare duro. Aiuta al basso profilo San Siro chiuso per pandemia: la squadra va alla partita come in fabbrica. L'assenza del contorno, per paradosso, gratta via il superfluo. Rimane la voglia di festeggiare, se e quando sarà. Ma l'emiliano Pioli e il pugliese Conte, pur coi loro caratteri decisamente diversi, indicano la stessa strada: Milano deve fare i fatti. E' il derby del disincanto, le illusioni e le disillusioni sono state troppe. Le due proprietà straniere, un fondo americano come Elliott e una grande azienda cinese come Suning, alimentano con la loro fisiologica lontananza fisica l'esigenza di fare parlare il campo.

Il Milan merita il primo posto. E il Napoli ha il piglio della grande


Champions sempre più vicina

Nel caso del Milan l'esigenza è ancora più palpabile: Maldini, dirigente operativo e simbolo, diventa un trait-d'union necessario. L'interruzione del clamoroso esilio settennale della squadra italiana con più titoli internazionali dal torneo calcistico per club più importante del mondo sta diventando quasi un traguardo secondario. Tutto l'ambiente attorno – giocatori, allenatore, società, tifosi, critica – si sta rendendo conto che il rendimento costante ad alto livello giustifica ormai l'ambizione di provare a vincere lo scudetto. Lo si è potuto intendere, a Marassi, da tre scene di campo, delle quali lo stadio vuoto ha amplificato la percezione sonora. Pioli ha festeggiato il 2-0 di Castillejo alla Sampdoria con inusuale trasporto: la sua corsa sfrenata ha dimostrato l'importanza dell'esame, in assenza di Ibrahimovic, Kjaer e Bennacer. Donnarumma e Gabbia hanno litigato per una situazione di gioco e non si sono preoccupati di dissimulare il bisticcio: due ventunenni che si arrabbiano così, durante una partita teoricamente non vitale, esemplificano lo spirito agonistico di un gruppo che era molto meno assatanato, prima dell'arrivo di Ibra. Subito dopo il fischio finale di Calvarese, contestato dai giocatori della Samp per un paio di episodi dubbi in area, il mucchio festante e urlante ha dato la misura dell'importanza spontaneamente attribuita alla vittoria. Pioli ha in effetti sintetizzato il concetto: vincere anche in condizioni difficili è indice della virtù più evidente del Milan, la capacità di adattarsi a tutti gli avversari e di colpirli. Non è camaleontismo tattico, perché la squadra ha una precisa identità di gioco e la mantiene sempre. Si tratta, semmai, di concretezza e pragmatismo: le doti classiche dei più forti. Il primato, con 5 punti sull'Inter e 6 su Napoli e Juventus, è tutt'altro che illogico.

Sampdoria-Milan 1-2: Kessié e Castillejo, i rossoneri non si fermano

di

Marco Gaetani


Da Ibra il 23% dei gol

Il calcio resta il meno matematico tra gli sport di squadra: si può perdere una partita dominata oppure vincerne una su autorete e magari senza avere tirato in porta. Ma se questo vale per un episodio singolo, difficilmente i numeri possono mentire sul lungo periodo. E i numeri del Milan nel 2020, inteso come anno solare per quanto privo dei tre mesi e mezzo del lockdown poi recuperati attraverso lo sconfinamento estivo nel calendario, sono a prova di controdeduzioni. Nel 2020, in serie A, il Milan è stato finora il migliore ed è verosimile che lo rimanga, visto che mancano appena 4 giornate e che la sequenza di dicembre – Parma, Genoa, Sassuolo, Lazio – si chiuderà il 23, tra soli 16 giorni. Il Milan ha raccolto 71 punti in 31 partite di campionato: 10 in più di Inter, Juventus e Atalanta (che ha una partita in meno), 12 in più di Lazio e Napoli (che ha una partita persa a tavolino). Ha segnato 70 gol e ne ha subiti 31. Ha perso soltanto due volte, prima del lockdown, con l'Inter nel derby di febbraio subendo la rimonta nella ripresa e col Genoa in marzo appena prima del blocco.

Milan, Pioli: "Vittoria da squadra vera"


Ma il dato più significativo è sui gol fatti: ai suddetti 70 vanno aggiunti gli 8 della scorsa Coppa Italia finita in semifinale con la Juve ma senza sconfitte, i 7 dei turni preliminari di Europa League e gli 11 di Europa League. Il totale fa 96 in 43 partite (35 in Italia e 8 in Europa) per una media di 2,23 a partita. Detto che anche la statistica sui gol subiti (45, poco più di 1 a partita) è eloquente perché il miglioramento è continuo (9 nelle 10 partite di questo campionato, con 4 gare senza gol subiti), la parte del mattatore l'ha incontestabilmente fatta Ibrahimovic: 22 i gol segnati in tutte le competizioni, con 30 sole presenze e un'incidenza percentuale sul totale dei 96 gol di squadra (22,91 %) che parla da sola. Però i goleador del 2020 sono stati finora 17: in ordine sparso hanno segnato anche Hernandez, Çalhanoglu, Rebic, Romagnoli, Kessié, Leao, Castillejo, Diaz, Saelemaekers, Hauge, Krunic, Dalot, Calabria, Bennacer, Colombo e Bonaventura, che è anche l'unico non più in rosa, essendosi nel frattempo trasferito alla Fiorentina. Dice Pioli che tatticamente è una questione di spazi e di capacità di adattarsi all'avversario: se il Milan segna a tutti e più o meno tutti demolisce, è perché gli altri prima o poi si scoprono ed è lì, appunto, che il Milan s'infila e colpisce. Quando c'è Ibra e quando non c'è. Il gol prima o poi arriva sempre: contro chi attacca troppo e si fa prendere in contropiede, contro chi palleggia troppo e si fa rubare il pallone, contro chi difende troppo e a un certo punto crolla. Invece per il Milan, finora non è mai troppo. Nella nuova stagione lo è stato solo col Lille, il 5 novembre: quell'unica sconfitta (3-0) ha indicato il limite della squadra, contro avversari più fisici, confermato anche dalla tendenza a incassare gol su corner, come è risuccesso con la Sampdoria. Ma il Milan, finora, ha avuto il pregio di sapersi correggere.

Tutti gli esami di Conte

L'Inter è attraversata da pulsioni opposte. Le frizioni interne, dal caso Eriksen in giù fino a Vidal, moltiplicano l'inclinazione naturale al saliscendi dell'umore. Il calendario accentua questo viaggio perenne tra esaltazione e flagellazione. Eriksen pare in fondo un Icardi minore: divide i tifosi, pur con tutti i distinguo dall'era Spalletti all'era Conte. Marotta è obbligato alla sintesi pragmatica, a poche ore dalla partita con lo Shakhtar, che non scriverà tutto il destino di questa Champions, perché dipende anche da Real Madrid e Moenchengladbach. Ma i numeri valgono anche per l'Inter e dicono che lo scorso campionato si è chiuso a un punto dalla Juventus, per quanto Sarri si fosse messo in tasca lo scudetto in anticipo, che la conquista dell'Europa League è sfumata solo all'ultimo istante e che anche adesso, malgrado le accelerate e le frenate, lo scudetto è ancora a portata di mano. I numeri dicono che la squadra sta segnando più di tutti – 26 gol in 10 partite – e non solo col trascinatore Lukaku e con Lautaro: Hakimi è potenzialmente devastante, Barella può aggiungersi alla lista. Nel derby a distanza col Milan finora la differenza, a ben vedere, l'ha scavata soprattutto l'unico derby giocato e firmato da Ibra: è stata quella l'unica sconfitta. Il derby di ritorno è il 20 febbraio e sarà il derby della verità. Intanto mercoledì 16, tra poco più di una settimana, l'Inter ha un importante appuntamento prenatalizio col Napoli: un pre-esame per lo scudetto, in un percorso così carico di impegni che di esami ne dissemina uno dopo l'altro. Ma per un allenatore in trincea come Conte, in fondo, è questo il pane quotidiano.
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