La riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, monopolizza il dibattito politico da diverse settimane, e oggi alimenta lo scontro anche all'interno della maggioranza, mettendo addirittura a rischio la tenuta del governo. Eppure sulla questione c'è ancora confusione: ecco i punti principali per orientarsi.
ll Meccanismo europeo di stabilità è un organismo nato nel 2012 con la funzione di prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria. A partire dal 2017 in sede europea si è iniziato a discutere di una possibile revisione del trattato istitutivo. Ciò di cui si discute in questi giorni sono quindi le modifiche al trattato esistente. Nel giugno 2019 i Paesi hanno trovato un accordo politico preliminare sull'insieme delle correzioni da apportare. Per entrare in vigore serve poi la ratifica dei parlamenti dei singoli stati.
La riforma, basata su diversi pilastri (backstop del Fondo Unico di Risoluzione, linee di credito del Mes, sostenibilità del debito, cooperazione del Mes con la Commissione Europea) va ad intervenire su moltissimi temi in materia di governance economica. E si è resa necessaria per dare al Mes una serie di nuovi compiti, nell'ambito degli obiettivi approvati dai capi di Stato e di governo dell'Ue nel dicembre 2018, per completare l'unione economica e monetaria e, appunto, il fondo Salva-Stati.
Per far fronte all'emergenza coronavirus il Mes ha approvato il Pandemic Crisis Support, una linea di credito precauzionale che non prevede alcuna condizione se non l'obbligo di adoperare questi fondi per sostenere costi diretti o indiretti del settore sanitario legati alla pandemia, con la Commissione Europea che vigilerà sull'effettivo uso dei fondi. Se erogata sotto forma di prestito, potrà avere una durata massima di 10 anni e un costo annuo complessivo dello 0,15% cui si aggiunge una commissione anticipata (up-front) dello 0,25%.
ll 9 dicembre, quando il Senato esaminerà la riforma del Mes, la maggioranza è a rischio per il "no" dei frondisti M5S (dovrebbero essere una decina a Palazzo Madama), benché il reggente Vito Crimi abbia chiarito che chi vota no rischia l'espulsione dal Movimento.
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Annalisa Cuzzocrea
A bocce ferme, la maggioranza al Senato è così composta: 35 Pd, 92 5S, 18 IV, 8 Autonomie. Poi ci sono 15 del Misto che di solito votano con la maggioranza. Il totale fa 168. A questi andrebbero aggiunti Mario Monti e Elena Cattaneo, e sulla carta, anche Liliana Segre e Giorgio Napolitano. Gli ultimi due, però, da tempo non vengono in Aula. Sul fronte opposto, quello dell'opposizione, ci sono 54 senatori di Forza Italia, 63 della Lega, 18 FdI, 14 del Misto. La somma fa 149, tuttavia in quest'ultimo gruppo ci sono i 3 senatori di Cambiamo che la settimana scorsa hanno votato lo scostamento e pare siano orientati a votare la riforma. Inoltre alcuni "dissidenti" di Forza Italia favorevoli alla riforma potrebbero uscire dall'aula, dopo che Silvio Berlusconi ha accettato di appoggiare la risoluzione unitaria del centrodestra per il No.
centrodestra
di
Carmelo Lopapa
Resta quindi da pesare l'entità numerica della protesta dei Cinque Stelle: in origine la lettera degli ortodossi M5s della settimana scorsa contrari alla riforma è stata sottoscritta da 16 senatori. Se tutti loro confermassero la loro opposizione alla risoluzione, la maggioranza scenderebbe a 152. A quel punto, la risoluzione magari potrebbe anche passare per una manciata di voti ma sarebbe ratificato un dato politico molto rilevante, cioè che il premier Conte a Palazzo Madama non avrebbe più una maggioranza parlamentare stabile, tenuto conto che il numero magico è 161.
Tuttavia, da quando è uscita la lettera, s'è intensificato il lavoro di moral suasion da parte dei vertici del Movimento che dovrebbe aver prodotto i suoi frutti, facendo calare a circa 10 i "duri e puri" a resistere sul loro no. Qualcuno potrebbe limitarsi all'assenza con conseguente abbassamento del quorum. La maggioranza potrebbe così scendere in un range che va da 160 a 162.
Sul Mes la chiave per smussare la fronda pentastellata è la risoluzione unitaria che verrà presentata in Aula. Prima del confronto con il Pd, è già partito il lungo lavoro interno al Movimento: in 60 parlamentari – tra capigruppo, presidenti di commissione e capigruppo in commissione – stanno lavorando al testo con un obiettivo: rendere più chiaro possibile il "no" all'uso del Mes e, allo stesso tempo, sottolineare come il sì alla riforma non significhi avallare la ratio del fondo-salva Stati. "A noi questa riforma non piace ma mentre a dicembre 2019 potevamo permetterci di dire "assolutamente no" oggi siamo in un anno in cui c'è una crisi pandemica, in cui l'Ue ha dimostrato di mettere in campo strumenti nuovi. Dobbiamo guardare avanti. Questa riforma è un modo per chiudere il capitolo", sottolinea Crimi. Nella risoluzione non potrà essere messo nero su bianco il "no" al Mes, Pd e Iv non lo permetteranno. Ma il M5S tornerà a ribadire il necessario via libera dell'Aula per qualsiasi mossa che riguardi il fondo. Sperando di uscire nel cul de sac tra ortodossi, Dem e renziani.
agenda politica
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Concetto Vecchio
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