Solo parole scritte e nessuna immagine di sé. Louise Glück, vincitrice lo scorso ottobre del Nobel per la letteratura, ha preferito affidare il discorso di accettazione del premio a un testo che racconta il suo rapporto con la poesia fin dall'infanzia. Un testo molto letterario, senza riferimenti al virus o ad altro, senza altro argomento se non la poesia.
Un discorso per spiegare perchè la poesia ha bisogno di intimità. Per chi si aspettava un collegamento dalla casa della scrittrice a Cambridge, nel Massachusetts, una delusione. Un gesto di sottrazione per ribadire l'idea di una poesia che non vuole rinunciare all'intimità del colloquio con i lettori, anche dopo la consacrazione del premio letterario più prestigioso del mondo: "Credo che assegnandomi questo premio l'Accademia svedese abbia scelto di onorare una voce intima e privata, che un discorso pubblico può amplificare, estendere, ma mai sostituire". Non una fuga ma la difesa della sostanza di un'opera poetica che ha una dimensione colloquiale e diffida delle luci della ribalta e delle folle: "La mattina dell'8 ottobre è stata una sorpresa per me provare il tipo di panico che ho descritto. La luce era troppo intensa. La scala troppo vasta". Un panico da vittoria per aver varcato la soglia della invisibilità, quella condivisa con la sua amata Emily Dickinson.
Louise Glück, 77 anni, premiata ad ottobre per la sua "voce inconfondibile" che "con austera bellezza rende universale l'esistenza individuale", ha voluto ringraziare l'accademia svedese parlando solo di poesia, la sua più fedele compagna di vita da quando è bambina. Il suo discorso apre la settimana dei Nobel, che vede il suo apice il 10 dicembre in una Concert Hall illuminatissima ma deserta per il virus, costretta a sostituire i riti di consegna delle medaglie da parte del re Carlo XVI Gustavo con collegamenti online.
Lara Crinò
Il testo che potete leggere sul sito NobelPrize.org inizia con un riferimento all'infanzia, quando Louise giocava a casa della nonna a Long Island: "Avevo cinque o sei anni mi ero inventata un concorso per premiare la più bella poesia del mondo. C'erano due finalisti: The Little Black Boy di Blake e Swanee River di Stephen Foster". E' una tenzone poetica quella che inscena Louise, sul modello di quelle narrate nei miti che già ama e che popoleranno poi la sua poesia, tra cui l'Iris selvatico e Averno ora ripubblicate da Il Saggiatore con la traduzione di Massimo Bacigalupo.
Da bambina Louise alla fine premierà Blake: "Sapevo che era morto ma sentivo che era ancora vivo perché potevo sentire la sua voce che mi parlava, camuffata, ma la sua voce". Un passaggio chiave, è chiaro che Glück sta parlando della sua idea di poesia: "Ero attratta, allora come adesso, dalla voce umana solitaria". Una voce, quella del poeta, che parla a ogni lettore come se fosse l'unico destinatario di quelle parole. Una poesia che prevede un "ascoltatore eletto": "Intima, seducente, spesso furtiva o clandestina". Non le folle, non i monologhi: "Non poemi da stadio. Non poeti che parlano da soli". Un dialogo intimo dunque tra autore e lettore. Un patto a due. Un colloquio come quello con l'analista e il sacerdote.
Raffaella De Santis
L'ultima parte del discorso è sul premio. Come trasforma un onorificenza così importante questa idea di poesia? Che fine fa il lettore come "destinatario di una confidenza o di un grido", come "co-cospiratore"? Ecco la paura affiorare allora. Glück chiama in soccorso Emily Dickinson e ripete con lei "I'm nobody", io sono nessuno. "Are you nobody, too?", anche tu sei nessuno?. "Allora siamo in due! / Non dirlo, potrebbero spargere la voce".
Lasciatemi sola, non spargete la voce, non bussate alla mia porta, lasciate che il Nobel non mi cambi, non mi porti troppo alla ribalta. Il poeta che viene esiliato dalla sua zona di intimità, scrive Glück, può sentirsi infatti "minacciato, sconfitto". Lei invece, come Emily Dickinson, si considera più adatta al silenzio: "Dickinson mi ha scelto, mi ha riconosciuta, seduta sulla poltrona. Eravamo un'élite, compagne nell'invisibilità… Nel mondo, eravamo nessuno". E poi spiega: "Non sto parlando della perniciosa influenza di Emily Dickinson sulle adolescenti. Sto parlando di un temperamento che diffida della vita pubblica o la vede come il regno nel quale la generalizzazione cancella la precisione". E' l'augurio che il premio non cambi le cose: "I lettori vengono sempre soli, uno per uno". Intanto, secondo quanto riferisce il quotidiano The Guardian, la Gluck pubblicherà nel 2021 una nuova raccolta di poesie a distanza di sette anni dall'ultimo suo lavoro e la prima da quando è diventata la 16a donna vincitrice del Nobel per la letteratura. La prossima uscita in Italia con Il Saggiatore sarà invece Ararat, raccolta del 1990 mai tradotta nel nostro paese.Original Article
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