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“La Terra può farcela anche senza uomini”

Se il Novecento è stato fra tutti il secolo più vorace, in cui l’uomo ha consumato e sprecato e inquinato come mai prima nella storia, tracce di comportamenti anti-ecologici si ritrovano anche nell’uomo primitivo, o nel Medioevo. Lo racconta bene Grazia Pagnotta, docente di Storia dell’Ambiente a Roma Tre con una formazione storica, economica e urbanistica, nel suo ultimo libro, Prometeo a Fukushima. Storia dell’energia dall’antichità a oggi, uscito da poco per Einaudi.
Dai cavalli e i mulini fino all’acqua, al vento, al petrolio: quando inizia la disfunzionalità nel rapporto tra l’uomo e l’utilizzo di energia?
"L'impiego del carbone rappresenta una cesura nella storia, poiché significò l'inizio dell'uso delle fonti fossili che sono inquinanti e non rigenerabili. Ma non si deve pensare che precedentemente fosse tutto sempre in equilibrio, perché, ad esempio, una proto-fabbrica che impiegava il mulino ad acqua per muovere le sue macchine poteva inquinare il fiume con i resti delle sue lavorazioni, e per fare un altro esempio, con l'uso del legname si poteva arrivare a tagliare troppa foresta compromettendo la sua rigenerazione, come di fatto accadde in molte parti d'Europa nel 1500, tanto da aver indotto alcuni storici a parlare di crisi del legno in quel secolo."
Rinnovabili

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di

Luca Pagni


La città e la campagna hanno sempre avuto un rapporto diverso con l'uso delle risorse energetiche. Si può dire che gli usi agricoli fossero più rispettosi dell’ambiente di quelli cittadini?
"I luoghi più energivori ovviamente sono sempre state le città, in tutte le epoche. Possiamo aggiungere, però, che gli usi agricoli dell'energia sono stati più rispettosi finché sono stati decisamente minori, ossia fino alla grande agricoltura intensiva e al grande allevamento che connotano il Novecento."
Quand’è che l’uomo si è reso conto per la prima volta che lo sfruttamento di una certa risorsa poteva compromettere il suo habitat? Quando è nata, in altre parole, la coscienza ambientalista?
"Quello che chiamiamo 'conservazionismo', ossia l'interesse per la mera conservazione della natura ancora privo di analisi dell'organizzazione delle società, e che è l'antesignano della cultura ambientalista, è nato in Inghilterra e negli Usa nell'Ottocento. I suoi primi grandi frutti sono stati gli enormi parchi americani creati all'inizio del Novecento. Ma in sede di ricostruzione storica la riflessione è più complessa, perché la percezione dell'importanza di un pezzo di natura che non doveva essere compromesso la si può ritrovare in diversi luoghi e in diverse epoche. Faccio solo un esempio molto significativo: le foreste palustri costiere presenti in Italia sono rimaste fino all'inizio del secolo scorso perché considerate delle barriere ai venti meridionali e alle esalazioni che si riteneva fossero causa della malaria, che nell'italiano arcaico si scriveva 'mal'aria'; furono difese per questo dalle popolazioni locali e anche dalle istituzioni di alcuni stati preunitari. Così è stato per la grande foresta costiera che ricopriva tutta la fascia marina della Pianura pontina, che non era mai stata intaccata con le bonifiche fatte dai papi e che fu abbattuta con la grande bonifica effettuata dal fascismo perché oramai negli anni '30 si conosceva la causa della malattia. Ne resta oggi il Parco del Circeo."

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L’Ottocento ha segnato un punto di svolta, in particolar modo a causa dell’uso del carbone. C’è stato anche un cambio di mentalità, oltre che una necessità legata allo specifico del carbone?
"La società industriale che nacque dal carbone dotò l'umanità di una grande capacità tecnologica e di conseguenza di un potere di manipolazione delle risorse naturali, oltre che della capacità di produrre una enorme quantità di beni di consumo. I suoi effetti dunque non furono soltanto economici, ma anche scientifici, culturali e sociali."
Il petrolio è destinato a fare la stessa fine del carbone?
"Dipende dalla volontà dell'umanità, se essa vuole salvarsi o meno. Più precisamente dipende dai soggetti che hanno il potere politico e il potere economico e che quindi conducono le scelte. E dunque governi, stati petroliferi, gruppi industriali di diversa natura. Ormai in diversi paesi occidentali i governi hanno una durata breve e dunque sono incapaci di pensare a politiche di trasformazione di lungo periodo, sopraffatti come sono dalla preoccupazione di avere abbastanza consenso per garantirsi una durata. Il problema sono sia il petrolio che il carbone, poiché nella generazione di elettricità il carbone a livello mondiale è impiegato più del petrolio; nel 2018 sono stati prodotti 10.000 terawattora con il carbone e 803 con petrolio, secondo le statistiche Bp."

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E’ corretto secondo lei affermare, come fanno molti ambientalisti, che oggi sono soprattutto gli interessi dei gruppi petroliferi a impedire una vera svolta in senso ecologista nello sfruttamento di risorse?
"Per una vera svolta verso una società sostenibile non basta cambiare il settore dell'energia. Bisogna intervenire sul problema dei rifiuti per produrne meno e per smaltirli senza conseguenze, bisogna intervenire sull'agricoltura non soltanto perché si abbassino i livelli delle sostanze chimiche impiegate, ma anche perché sia ben scelto cosa, dove e quanto coltivare. Bisogna intervenire sull'allevamento perché diminuiscano i numeri di alcuni degli animali allevati, innanzitutto dei bovini, e perché si passi ad allevamenti di tipo diverso in cui si abbia considerazione della 'sofferenza animale', sui trasporti perché siano più impiegati i treni al posto degli aerei e perché nelle città sia bene organizzato il trasporto collettivo e non impiegata l'auto. A tal proposito bisogna avere chiaro che l'auto elettrica da sola non ci salverà, se non diminuiremo le automobili che soffocano il pianeta anche con il loro ingombro. E poi c'è la tutela della natura selvaggia e della biodiversità che è del tutto insufficiente. L'uomo ha fatto estinguere numerose specie animali e sta continuando a farlo, e ha inciso in modo irreversibile nel rendere prevalenti le specie di cui ci cibiamo rispetto alle altre. Non si tratta soltanto dell'Amazzonia, ma ad esempio anche delle foreste di mangrovie costiere dell'Asia meridionale, che vengono abbattute per l'agricoltura e per gli allevamenti di gamberetti e pesce. E quanto alla fauna ittica soltanto negli anni ci stiamo rendendo conto delle conseguenze disastrose del grande prelievo che abbiamo effettuato nei mari."
Gli stress indotti dall’uomo potrebbero portare alla sua estinzione. E’ l’uomo dunque a rischiare più della Terra?
"E' evidente a tutti che se non vi saranno cambiamenti radicali nell'organizzazione delle nostre società, lo sfruttamento delle risorse condotto dall'umanità porterà tra qualche secolo ad una vita sempre più difficile per l'uomo, con il rischio della sua estinzione. Quanto alla terra, che ha miliardi di anni, durante i quali ha vissuto tante ere con tanti cambiamenti, essa invece potrà continuare ad esistere anche senza la specie umana."Original Article

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