Una mamma 27enne americana ha confessato di recente ai magistrati di avere assistito, senza muovere un dito, all'agonia e alla morte della sua bambina di 5 anni, che aveva in precedenza ingerito della droga che la donna teneva in casa. La piccola Sophia Larson è infatti deceduta, nel dicembre 2019, per avere ingerito per errore delle metanfetamine che la madre incriminata, Stephanie Alvarado, possedeva nella propria abitazione in Colorado. L'imputata ha ultimamente ammesso la propria responsabilità della tragica sorte della figlia, nel corso del processo avviato contro la prima dal tribunale locale di Glenwood Springs.
In base alle ricostruzioni del dramma fatte dagli inquirenti, dalle emittenti Usa e dalla stessa imputata, l'incidente sarebbe avvenuto mentre la 27enne si trovava in casa sua insieme alla bambina e a degli amici della prima. In quella casa, gli adulti stavano allora producendo dei cristalli di metanfetamina e di eroina. Il padre della piccola Sophia, Alec Larson, non era invece presente in casa in quel momento e, di conseguenza, non è stato minimamente toccato dall'inchiesta partita all'indomani del decesso della minorenne.
Mentre la madre e i suoi amici stavano appunto maneggiando droghe sintetiche, sarebbe quindi avvenuta la tragedia: la bimba avrebbe bevuto una bottiglia con dentro della droga liquida, pensando fosse della normale acqua.
Accortasi di quanto appena accaduto alla figlia, la 27enne, in preda alla massima preoccupazione, decideva di chiedere consiglio sul da farsi a due suoi cugini, Betha Karina Ceballos-Romo e Daniel Alvarado. I parenti citati l'avrebbero allora invitata a non preoccuparsi, affermando di avere visto in precedenza tanti altri bambini ingerire metanfetamina e che tutti questi non avevano mai avuto problemi di salute.
Fidandosi delle rassicurazioni dei cugini, nonché preoccupata per il fatto che una sua eventuale chiamata alla polizia avrebbe determinato la scoperta del proprio laboratorio di droghe casalingo e il proprio conseguente arresto, mamma Stephanie non avrebbe chiamato alcun soccorso per la bimba.
Secondo quanto ammesso di recente in tribunale dalla 27enne, lei si sarebbe allora seduta a guardare, senza battere ciglio, come la bambina soffriva in casa per gli effetti della droga sul suo corpicino.
Davanti agli occhi della mamma, la minorenne ha così passato 4 ore di agonia, in cui lamentava forti dolori allo stomaco e allucinazioni. Dopo tale lasso di tempo fatto di dolori strazianti, la malcapitata è morta a causa di un arresto cardiaco.
In seguito al decesso di Sophia sono scattate le incriminazioni, promosse dai magistrati di Glenwood Springs, a carico della 27enne e dei suoi due cugini che avevano banalizzato la tragedia che stava vivendo la bimba.
Nel dettaglio, Stephanie risulta indagata, in merito al decesso della minore, per omicidio, nonché per maltrattamenti in famiglia, dato che, subito dopo la morte della figlia, aveva preso ad aggredire il marito, che era immediatamente giunto sul luogo dell'incidente.
Per il primo capo d'imputazione, l'imputata rischia fino a 48 anni di carcere, a cui potrebbero aggiungersi altri sei anni, derivanti da un'eventuale condanna per il secondo reato contestatole.
In tribunale, l'imputata, dopo avere confessato ultimamente ai magistrati la propria indifferenza davanti alle sofferenze della figlia, ha detto di essere pentita e di volere andare in una clinica per disintossicarsi, quale suo gesto inteso a onorare la memoria della bimba.
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