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La ​Scala inaugura con un evento tv, le grandi voci nel teatro vuoto

AGI – ll Teatro alla Scala riparte, si alza il sipario sulla nuova stagione, con un evento spettacolo dal titolo pieno di speranza, ‘A riveder le stelle', un kolossal che ha il sapore di quelli cinematografici, ideato in poche settimane dal regista Davide Livermore, al posto dell'opera saltata per il Covid.

Tutto avviene a porte chiuse per rispettare le norme anti contagio. Niente pubblico in sala, vuoto il palco Reale che ogni anno ospita i capi di stato di tutto il mondo. Stavolta nel cuore del Piermarini, sempre bellissimo nella sua essenzialità, senza fiori e lustrini, ci sono i giornalisti, che occupano i leggii dell'orchestra, per assistere alla proiezione sul grande ledwall del palcoscenico, trasmessa dalla Rai.

L'alternanza di grandi voci è incalzante, 24 big del canto da Placido Domingo al suo nono 7 dicembre, a Vittorio Grigolo, Lusa Salsi, Roberto Alagna, Francesco Meli, Lisette Oropesa, Rosa Feola, Marianne Crebassa, Marina Rebeka. Con loro i ballerini scaligeri, e l'etoile di casa, Roberto Bolle che si è esibito in “Waves”, una coreografia che unisce tradizione e tecnologia e lo vede danzare sfiorando un fascio di luce laser che lo accompagna e lo racchiude.

Effetti speciali e atmosfera rarefatta per una riuscita perfetta. A fare da filo conduttore della serata, tra i cantanti, l'orchestra e i ballerini, ci sono gli attori, con la prosa affidata a Laura Marinoni, Massimo Popolizio, Giancarlo Judica Cordiglia e Caterina Murino.

Un 7 dicembre del tutto originale insomma: ad aprire la serata, dopo la voce registrata di Mirella Freni, c'era sì l'Inno di Mameli come da consuetudine ma più ‘popolare' del solito, a cantarlo insieme al coro c'erano alcuni lavoratori della Scala. Poi un ricordo di Ezio Bosso, il compositore scomparso lo scorso maggio. E tanti richiami al cinema in questa inaugurazione, con Fellini e Cinecittà.

Sullo sfondo compaiono i volti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di Pertini, di Ghandi e Nelson Mandela. Lo spettacolo di Livermore è “un atto di militanza” come lui stesso lo ha definito.

Si è trovato ad ‘assemblare' “una quantità infinita di arie, un materiale eterogeneo da mettere insieme per ricordare a tutti gli italiani che questo è il posto in cui è stata creata la parte civile della nostra società, è il luogo in cui le persone hanno scoperto di essere cittadini. E' dall'arte che dobbiamo ripartire per scoprire di essere migliori”.

Un messaggio di speranza contagioso – è l'auspicio – anche del sovrintendente Dominique Meyer. Con questa serata che ha richiamato giganti del canto, “la Scala ha dimostrato che c'è, è in piedi. Questo è uno spettacolo che dimostra la volontà di tutti i lavoratori del teatro di andare avanti”.

Un riconoscimento speciale all'orchestra, che come ha sottolineato il direttore Riccardo Chailly ha compiuto un'impresa straordinaria: “i musicisti hanno dovuto affrontare 15 autori in 15 stili differenti. Un'orchestra con meno esperienza” non ce l'avrebbe fatta.

Si è trattato comunque di un'esperienza unica “dal punto di vista acustico: suonare senza pubblico, con l'orchestra al centro della grande volta”. Tanti i titoli, dallo Schiaccianoci alla Cavalleria Rusticana alla Carmen con Marianne Crebassa vestita di un magnifico rosso Armani alla madama Butterfly.

Penultimo in scaletta un titolo amatissimo dal pubblico e simbolo di rinascita: “Nessun dorma” da Turandot, cantato da Piotr Beczala. E poi il gran finale con 'Tutto Cangia', si spera in meglio. E per chiuderla con le parole del regista: “Solo con l'arte si può pensare tutti insieme di ritornare a riveder le stelle”.

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