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Il re dei libri per bambini censurato dalla famiglia (con trent’anni di ritardo)

Lo scrittore Roald Dahl, scomparso la bellezza di trent'anni fa, è ancora oggi una straordinaria macchina da soldi. Autore di capolavori per bambini come "La fabbrica del cioccolato" e "Le streghe", consente ai suoi eredi di vivere nell'abbondanza grazie ai ricchissimi introiti tuttora assicurati dalle sue opere in numerose forme: non solo libri, ma anche contratti per trasposizioni dei suoi testi a uso del cinema e della televisione, royalties derivanti da tour teatrali internazionali di lavori come "Matilda the Musical", una linea di vestiti per bambini che porta il suo riverito nome e molto altro ancora. Un giro di affari stimato nel 2018 in circa 20 milioni di euro, sufficienti a garantire a sua figlia Ophelia Dahl, 56 anni, e a suo nipote Luke Kelly, 34enne, che gestiscono il suo lascito, introiti personali sui due milioni di euro annui.

Il "gigante gentile" della letteratura per bambini, come viene ricordato per il suo aspetto imponente, era stato anche un coraggioso combattente nella seconda guerra mondiale, che lo vide pilota nella Royal Air Force. Ciò non gli impediva di avere un difettaccio personale che stride con il profilo di un difensore dell'Inghilterra dall'aggressione nazista: era un antisemita dichiarato, e nel corso della sua non breve vita (morì a 74 anni) lo mise in chiaro senza problemi in numerose interviste. Nel 1983, in particolare, disse al New Statesman quanto segue: "C'è un tratto nel carattere ebraico che suscita animosità, forse una sorta di mancanza di generosità verso chi non è ebreo. Voglio dire, c'è sempre un motivo per cui gli anti-qualcosa spuntano fuori da qualche parte. Perfino un puzzone come Hitler non se l'era presa con loro senza una qualche ragione". Questo era il tipo: gentile, ma non con gli ebrei. Sul sito ufficiale di Roald Dahl non compare alcun riferimento al suo antisemitismo, ma la macchia non è mai stata cancellata. Solo adesso, in tempi di cancel culture e "politicamente corretto" particolarmente aggressivo, i familiari dello scrittore hanno ritenuto di prendere un'iniziativa inedita: scusarsi ufficialmente a suo nome. Lo hanno fatto con una dichiarazione scritta inequivocabile nei toni ("La famiglia Dahl si scusa profondamente () certe sue affermazioni sono per noi incomprensibili e in contrasto con l'uomo che conoscevamo e con i valori che stavano al cuore delle sue storie", e via così) ma curiosamente assai difficile da rinvenire nei meandri del sito ufficiale, dove le parole "scuse" e "antisemitismo" non sono menzionate. Insomma, che nessuno possa dire che le scuse non sono state fatte, se si riesce a scovarle. Va notato che l'iniziativa sembra avere motivazioni più economiche che morali. La promozione dell'opera di Roald Dahl e il collegamento del suo nome ad attività caritative è fondamentale per i gestori del suo patrimonio, e specialmente negli Stati Uniti, dove il politically correct è particolarmente virulento e da dove arrivano ricchi introiti. L'immagine dell'autore andava ripulita, sia pure tardivamente, e questo è stato fatto.

Le accuse di razzismo vedono Roald Dahl in illustre compagnia. Di questa colpa i nuovi bacchettoni inglesi e americani accusano veri giganti di oltre un secolo fa come Mark Twain – che in Huckleberry Finn (1884) usa il termine spregiativo "nigger" oggi impronunciabile e descrive lo schiavo nero Jim come ignorante e superstizioso e Rudyard Kipling, che nel suo poema del 1899 Il fardello dell'uomo bianco si azzardò a definire "metà diavoli e metà bambini" i filippini, invitando gli Stati Uniti a mettere sotto il proprio controllo coloniale il loro Paese: tanto basta a seppellire nel fango l'immortale autore di "If".

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