Le nuove scrittrici sono attiviste, femministe e impegnate a favore dell’ambiente. Rientra in questo filone Gabrielle Filteau-Chiba, che ha mollato tutto e da Montréal si è trasferita in una capanna alimentata dall’energia solare nella foresta boreale, sul fiume Kamouraska, in Québec, tra Into the Wild, con un finale diverso, e Thoreau, che è il suo modello letterario. Filteau-Chiba, che ha inventato il “femminismo rurale”, scrive, dipinge e compie azioni concrete per difendere la natura, piantando, per esempio, migliaia di alberi. Dopo il suo primo romanzo/memoir, Nella tana, esce la sua seconda opera, Prede, sempre per le Edizioni Lindau di Torino. Un romanzo contro il bracconaggio che ha per protagoniste due donne forti: Anouk, già vista in Nella tana, e Raphaëlle, agente di protezione faunistica che vive in una roulotte sempre sul fiume Kamouraska, difendendo il bosco e gli animali che lo abitano dai bracconieri e da tutti quelli che non rispettano la natura. Le due s’incontrano perché Raphaëlle trova il diario di Anouk e glielo restituisce, e se son rose…
Filteau-Chiba, com’è arrivata in uno dei pochi posti Covid free al mondo?
"Avevo un ottimo lavoro, dei progetti, degli amici, la famiglia. Poi, di colpo, mi sono comprata una foresta. C’era una capanna isolata sulla riva di un fiume. L’ho trasformata nel mio nido sapendo che la prima settimana di gennaio ci sarebbero stati meno 40 gradi e sarei stata impreparata al freddo del Québec. Qui la natura è ovunque, gli spazi sono ampi. Il mondo è sottosopra, ma nella foresta si sta bene".
“Sai di soffrire di solitudine quando dai la buonanotte a un cane che sta già dormendo e ti ritrovi a sorridere della tua stufa di ghisa” scrive in Prede. Cosa significa la solitudine per lei?
"La solitudine è rara nella società contemporanea. Prima ero circondata sempre da persone: i miei familiari, i miei compagni di studi, i miei amici, i colleghi, le persone sui mezzi di trasporto pubblico. Nella mia capanna ero sola per la prima volta nella mia vita, nei primi tre anni senza elettricità, con il sole che tramonta dopo pranzo, in inverno. Eppure, quelle ore di buio e di freddo sono state il mio tempo più creativo. Per me la solitudine è un tempo creativo".
Sempre in Prede fa incontrare le solitudini delle protagoniste. È possibile essere una coppia nella foresta boreale?
"Mi viene in mente la “stanza tutta per sé” di Virginia Woolf. Questo concetto per me è molto importante: la mia capanna è stata la mia prima stanza tutta per me. È molto sano in una coppia che ogni persona abbia il suo spazio, non necessariamente due letti separati, ma due posti diversi in casa. Si può stare da soli e insieme, anche in un contesto come il mio, tanto che nell’unico viaggio che ho fatto da sola, in macchina, ho conosciuto mio marito. Era seduto accanto a me in un festival musicale, davanti al tramonto più bello del mondo, con gli occhi più belli del mondo. Ho pensato subito che avrei voluto avere un figlio da lui, come poi è successo. Quando ha visto dove abito, il fiume, la natura, non ha avuto dubbi e si è trasferito da me. Anche questo è molto femminista: non più lei che va da lui o lui che le mostre le sue proprietà, ma il contrario".
Il femminismo rurale, che pure ha scoperto e teorizzato trasferendosi nella capanna.
"Fare l’angelo del focolare in una foresta gelida per me è l’atto più femminista che si possa compiere. Sono cresciuta a Montréal. Quando studiavo Legge all’Università, mia madre mi diceva che il femminismo era spingersi lontano come gli uomini quindi avevo deciso di fare l’avvocato e di difendere le donne. Quando la mia vita è cambiata completamente ed ero nella capanna, tagliando la legna, facendo attività fisiche tipiche degli uomini, ho capito che il femminismo non è avere potere, ma fare quello che vuoi fare e avere la libertà di farlo. Raccontando la mia storia voglio dire alle donne che anche loro possono vivere una esperienza di questo tipo, anche se in genere l’associamo agli uomini. Se ce l’ho fatta io, che all’inizio avevo paura di tutto, potete farcela anche voi".
C’è molto bracconaggio nella sua zona, come racconta nel suo nuovo libro?
"Lo spunto del libro è stato quando la mia cagnolina è finita in una trappola per coyoti e ha rischiato di morire. Il problema è che la foresta è così grande e non vediamo cosa accade. Non condanno, in un momento così difficile, chi va a caccia o a pesca per sfamare la propria famiglia, ma bisogna rispettare le regole. Come faccio dire a Raphaëlle, in Prede, non abbiamo abbastanza agenti sul territorio. Infatti, lei si sente frustrata, sa che da sola non può risolvere questo problema. Eppure, basterebbe che le persone passassero due minuti nella foresta, per avere voglia di proteggerla".
Cosa significa, per lei, essere ambientalista?
"L’estate scorsa ho piantato tremila alberi. La prima volta che ho visto una foresta completamente senza alberi, per chilometri, potevo sentire il dolore degli alberi tagliati, ero devastata. MI sento più connessa agli alberi che agli esseri umani, assaggio pure la loro resina, li abbraccio. Essere ambientalisti vuol dire agire, trovare i modi, anche creativi, di difendere la natura. Ti dà speranza e ti dà uno scopo nella vita. Qualsiasi cosa succeda, so che i miei alberi stanno crescendo".
Ed essere una scrittrice?
"Non ho studiato letteratura, sono autodidatta. Per me un romanzo è un modo di prendere il lettore per mano e fargli vivere esperienze per trasformarlo in una persona migliore, più consapevole, più gentile verso gli animali e la natura".Original Article
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