È stato un maledetto sabato sera di pioggia, tra ruote e lamiere sulla Tangenziale, che ha distrutto per sempre una famiglia. Un violentissimo scontro ha coinvolto tre automobili all'altezza dell'uscita di Rozzano (sul tratto SS35- innesto A7), uccidendo tre membri su cinque della famiglia – ecuadoriani residenti a Milano – che viaggiava a bordo di una Honda Jazz guidata dal padre: è morto lui C.F. che era al volante, 41 anni, ed è morta sua moglie, di 39. Erano genitori di una bambina di 12 morta anche lei nello scontro e di altri due, un ragazzo di 16 anni e una di 10 che si trovano in condizioni gravi. Vigili del fuoco e sanitari hanno lavorato il più in fretta possibile per estrarre i corpi dalle lamiere: minuti interminabili nel tentativo disperato di salvare vite umane. Per i genitori e la piccola la corsa in ospedale è stata inutile, mentre per gli altri due ancora c'è ancora qualche speranza.
A rendere, se possibile, ancora più drammatica la vicenda sono le prime ricostruzioni della dinamica effettuate dagli agenti della polizia stradale. L'Honda Jazz viaggiava nella corsia centrale quando è stata colpita nella parte posteriore da una Bmw 218D, guidata da un 41enne: un tamponamento che ha fatto perdere il controllo dell'auto al padre di famiglia e che ha portato la sua macchina a sbandare, girare su se stessa in senso antiorario, facendola finire sulla corsia di sorpasso con il lato passeggero rivolto verso il senso di marcia. Da quella parte sedeva la donna e dietro la piccola: a uccidere è stato lo scontro con un'altra macchina, una Mercedes C220, che andava nella stessa direzione e che marciava sulla corsia di sorpasso, guidata da un uomo, destino, anche lui di 41 anni.
"Ma come, ci eravamo visti proprio la sera! Era verso le sei, quindi due ore prima dell'incidente… Mi viene da piangere. Bravissime persone e anche tanto tanto riservate ". Nel palazzo in cui c'era l'allegria della vita della numerosa famiglia ecuadoriana, la notizia della tragedia è arrivata il giorno dopo di colpo, travolgendo tutti come una tromba d'aria. Si piange dal citofono, e c'è chi dice "guarda le cose che succedono, cosa deve capitare e perché". La signora di ottant'anni che apre la porta al terzo piano di via Giambellino abita nell'appartamento accanto a quello in cui viveva la famiglia ecuadoriana. Racconta che Benjie faceva l'autotrasportatore, il corriere, che guidava i camion, la moglie Maria qualche volta andava a fare le pulizie. "La sera prima l'ho visto e l'ho chiamato per dargli una cosa, quando ho suonato il campanello ha risposto subito e poi è entrato qui in casa mia un attimo, con la mascherina". Ricorda così una delle ultime cose che l'uomo ha fatto nella sua vita, poco prima di caricarsi tutta la famiglia a bordo della sua Honda Jazz che parcheggiava la sera nel primo posto che trovava libero tra il portone e l'isolato. Forse per una piccola commissione da sbrigare tutti insieme, magari andare a scegliere i regali da chiedere a Babbo Natale, era sabato sera. Un'uscita prima di tornare a casa per cena.
"Mi aveva lasciato il suo numero di cellulare, ce l'ho qui nella rubrica, mi ripeteva sempre se ha bisogno di qualcosa chiami. Potevo contare sulla presenza e disponibilità di questo signore che arrivato parecchi anni fa dall'Ecuador aveva preso in affitto l'appartamento". "Avevano dei bellissimi bambini" , dice senza poter trattenere il pianto un'altra signora che passa sulle scale. "Al primo piano li sentivamo, ma mai nessun problema", raccontano due fidanzati conviventi. "Per mettersi o togliersi gli abiti da lavoro, quando c'era brutto tempo come in questi giorni si cambiava sempre qui sul ballatoio – continua la signora della porta accanto – . Gentile e cortese, come tutte le volte in cui si offriva di mettermi a posto lo zerbino davanti alla porta. Anche quando io andavo via in campagna, lui mi aveva detto: 'glielo metto a terra, dritto, a posto, così sembra che ci sia qualcuno in casa anche se lei non c'è, signora'. La bambina più piccola l'ho vista nascere qua, aveva fatto la prima comunione l'anno scorso e mi avevano regalato la bomboniera, una statuetta".
"Ci incontravamo sulle scale o davanti all'ascensore e ci salutavamo – racconta un'altra coppia -. Parlavano benissimo italiano, i ragazzini tra le scale e l'ascensore con i trolley per andare a scuola erano una conoscenza di pianerottolo, un'abitudine. Delle persone carinissime, salutavano con questi tre bambini bellissimi, chi in braccio, chi tenuto per la manina. Ma poveri, e adesso il ragazzino e la bambina? Ma si sono salvati?". "Mamma, la grande non c'è più" , spiega una ragazza uscita sul ballatoio: "Devo metabolizzare la notizia". "Il sedicenne cercava lavoro, mi avevano chiesto se gli potevo suggerire una scuola alberghiera per lui".
La ragazza più piccola, di dieci anni, avrebbe solo una frattura e non è in pericolo. Per il fratello di sedici invece la situazione ieri era molto più complicata. Sono ricoverati a Bergamo e al Policlinico, il ragazzo in rianimazione. Se ne prendono cura parenti di Benji e della moglie Maria, anche loro da tempo a Milano. Una famiglia integrata, come confermano alla parrocchia San Vito al Giambellino, in via Vignoli, dove incontriamo il parroco don Antonio: "Dolore. La scelta della famiglia era quella di far sì che i loro figli si radicassero qui. Non erano qua per tornarsene nel proprio Paese ma per mettere radici". Don Giacomo, che ha seguito i bambini nel catechismo, li ricorda così: "Una famiglia di persone semplici, buone, anche un po' timide, sempre gentili. Magari si sedevano in fondo e non prendevano la parola, per riservatezza, però venivano a tutti gli incontri".
L'arrivo dall'Ecuador tanti anni fa, poi il lavoro come corriere e la parrocchiaOriginal Article
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