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Clima, il “green deal” europeo è realizzabile. A patto di riqualificare 40 milioni di lavoratori

Raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 come affermato dal Green Deal dell'Unione europea approvato nel gennaio scorso, e ribadito con maggior convinzione nel Recovery Plan (di cui un terzo dei fondi sono riservati a investimenti ecologici o comunque sostenibili), non è impossibile. Anzi, a conti fatti il costo degli investimenti mirati alla riduzione delle emissioni – parametrato con i benefici ottenuti – avrebbe un saldo netto positivo. Ma soprattutto altrettanto positivo sarebbe il conto dei posti di lavoro creati dalla transizione: cinque milioni. Per di più, qualificati e a miglior reddito. E' il risultato di 18 milioni di posti persi e 11 milioni creati. A patto che governi e imprese accettino di riqualificare oltre 40 milioni di lavoratori. Tutto questo è contenuto in un report appena pubblicato dalla McKinsey dal titolo significativo: "Net-zero Europe: decarbonization pathways and socioeconomic implications". In oltre 200 pagine zeppe di grafici, tabelle e proiezioni, si analizzano in modo certosino tutti gli investimenti "green" previsti, in corso o anche raccomandati nell'Unione europea, e vengono simulati i risultati in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

L'obiettivo è preciso: eliminare completamente le emissioni da combustibili fossili e ridurre drasticamente le emissioni di CO2 nell'atmosfera, in modo da scongiurare gli effetti più nefasti del riscaldamento globale, almeno sull'Europa. "Per raggiungere gli obiettivi dell'Ue nei tempi e nei termini prefissati – si legge nel rapporto – è importante che tutti i settori procedano simultaneamente alla riduzione delle emissioni".

L'analisi

Cosa deve fare l'Italia per tingere di verde il suo Recovery Plan

di

Luca Fraioli


E' anche fissato il momento finale: il settore della generazione elettrica (in cui l'Italia viaggia saldamente nel gruppo di testa con il 30% dell'energia già prodotto da fonti rinnovabili) sarebbe il primo a raggiungere zero emissioni nette, a metà del 2040. I trasporti raggiungeranno l'obiettivo nel 2045, il settore delle costruzioni alla fine del 2040, quello industriale nel 2050, e praticamente in contemporanea anche l'agricoltura. Una delle notazioni più significative è che, sempre entro il 2050, se verranno adottati gli investimenti giusti la domanda di energia elettrica raddoppierà ma nel contempo l'elettricità proveniente da fonti rinnovabili arriverà a rappresentare il 90% del totale. E dell'80% si ridurrebbe la domanda di petrolio, gas e carbone. Non è detto che i combustibili fossili scompaiano: ma nei casi residui, quelli dei settori industriali più difficili da decarbonizzare, si potranno adottare le soluzioni di cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2 "oggi in fase pilota", come dice la McKinsey.
L'intervista

"Carbon tax e bilanci verdi: all’Ue il compito di riorientare la finanza"

di

Francesca Sforza


L'Unione europea, riconosce McKinsey, ha una tradizione di rispetto dei vari target di decarbonizzazione. Il che tra l'altro la qualifica per la possibile emissione della "carbon import tax", cioè una nuova tassa delle emissioni di CO2 eccedenti un certo livello, non solo per le produzioni interne ma anche per quelle importate per esempio dagli Stati Uniti. Una partita, tra l'altro, che si rivelerebbe cruciale anche per lo stesso finanziamento del Green Deal (perché sarebbe la prima "tassa di scopo" veramente continentale). I precedenti, come si diceva, parlano a nostro favore. Quando Bruxelles firmò il protocollo di Kyoto nel 1997, l'Europa si impegnò a ridurre le emissioni di gas serra nell'8% entro il 2012. Ma ha fatto molto meglio, riducendoli del 18 per cento. Nel 2010, l'Unione europea si fissò un altro obiettivo: ridurre le emissioni del 20% entro il 2020: il traguardo è stato sorpassato già nel 2018. Esistono le condizioni, insiste la McKinsey, perché l'Europa centri quest'ulteriore, deciso e ambizioso obiettivo, e perché si qualifichi come caso campione – si pensi che le sue emissioni oggi sono pari ad appena il 7% del totale mondiale – dal quale tutte le altre aree del pianeta possano trarre esempio, con benefici stavolta davvero globali.

I Paesi del G20 non fanno abbastanza per ridurre le fonti fossili

di

Giacomo Talignani


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