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Tasse sulle sigarette elettroniche e colpi bassi delle lobby, la guerra commerciale del tabacco

È una guerra commerciale dove non si va troppo per il sottile, con multinazionali contrapposte e lobbisti da tempo in azione alla ricerca di provvedimenti legislativi più favorevoli per sé o, in alternativa, che danneggino i concorrenti. Il dietro le quinte della vicenda Philip Morris – Casaleggio associati, con la società del figlio del fondatore del M5S che ha ricevuto in consulenze dalla prima 2,4 milioni di euro in tre anni (con annesso evidente conflitto di interesse), è una nebulosa dove è difficile districarsi. Come racconta Stefano Fassina, senatore di LeU che aveva proposto l'aumento della tassazione delle sigarette elettroniche a tabacco riscaldato, osteggiato da esponenti di 5 Stelle e Italia Viva, "in questa faccenda a essere 'sospetti' non sono solo i contrari, ma paradossalmente pure quelli a favore". Proviamo a spiegare perché.
I grandi attori del mercato del tabacco sono tre: Philip Morris coi marchi Marlboro, Chesterfield, Merit; British American Tobacco con Rothmans, Lucky Strike, Vogue, Dunhill, Kent, Ms; Japan Tobacco con Camel, Winston, Benson&Hedges. Le sigarette classiche sono una fonte di entrate sostanziose per l'erario, con una tassazione altissima, di un euro di prodotto venduto, 75 centesimi vanno allo Stato; volendo guardarla da un altro punto di vista, sono però anche fonte di esborsi difficili da quantificare, legati ai danni alla salute dei consumatori e cittadini e quindi al costo delle cure che lo Stato poi si accolla.
Da qualche anno a questa parte è arrivata la rivoluzione, tecnologica e di mentalità: le sigarette elettroniche. Hanno il pregio di far inalare senza la combustione. Fanno male, sul 'quanto' gli studi non sono ancora definitivi, ma meno delle classiche bionde. In più godono di una tassazione più leggera: i prodotti a tabacco riscaldato, quelli con il filtro che si inserisce insomma, pagano il 75 per cento in meno; le e-cig con il liquido alla nicotina, il 90 per cento in meno; le e-cig senza nicotina, il 95 per cento in meno.
Si stima che da inizio covid ad oggi ben 600 mila italiani hanno lasciato le sigarette: 100 mila hanno smesso del tutto, 500 mila si sono convertiti ai prodotti elettronici. Per capire il peso di questo numero: 15 anni di "legge Sirchia" contro il fumo erano fruttati 'solo' un milione di fumatori in meno.
A questo punto entrano in gioco le strategie delle tre grandi aziende del settore. Philip Morris è quella che più punta, vuoi per un cambio di immagine vuoi per una semplice analisi di mercato proiettata nel futuro, ad un futuro senza fumo. O meglio: col fumo "smart". L'85 per cento del mercato complessivo del tabacco è ancora fatto di sigarette, vero, ma dentro il 4 per cento di tabacco riscaldato Philip Morris con 'Iqos' si porta a casa il 98 per cento. Poi c'è Bat, che con la sua 'glo' detiene l'1,5 per cento del settore. "Nel 2019, il 98 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo e il 71 per cento di quelli commerciali sono stati dedicati ai prodotti senza combustione. Si tratta della più grande trasformazione nella nostra storia", si spiega sul sito di Philip Morris. "Bat ha tra i suoi obiettivi strategici l’impegno di ridurre l’impatto della propria attività sulla salute, offrendo ai propri consumatori, fumatori adulti, un futuro migliore, 'a better future', con l’offerta di un ampio portafoglio di prodotti meno rischiosi", assicurano anche dalla British American Tobacco. Resta più indietro Japan Tobacco.
Nel 2018 Lega e 5 Stelle decidono di abbassare la tassazione sul tabacco riscaldato, non più il 50 per cento in meno delle sigarette ma il 75. Lo mettono addirittura nel contratto di governo e mantengono la promessa con un emendamento al decreto fiscale. Vota a favore anche Fratelli d'Italia e qualcuno del Misto. Le big del settore sembrano tutte soddisfatte, ma nel 2019 Bat cambia posizione e denuncia che "le regole non sono uguali per tutti". Ognuno porta acqua al proprio mulino e ri-aumentare la tassazione sulle sigarette elettroniche è un modo come un altro per azzoppare un avversario commerciale. Bat lo scorso aprile invia una lettera ai ministeri di Economia e Salute spiegando: "Siamo pronti a dare il nostro contributo in un momento difficile per il Paese", dicendosi favorevoli a un ri-aumento contro il "privilegio fiscale". Un atto di responsabilità e generosità? Chissà, di sicuro vista la quota di mercato nel settore è un sacrificio a basso costo per Bat. "Il gesto si inserisce in un contesto segnato da crescente conflittualità tra i due colossi del tabacco, Bat e Philip Morris, verosimilmente al fatto che il vantaggio della ridotta tassazione è andato soprattutto a Philip Morris", annota Tobacco Endgame, associazione contro il tabagismo tout-court. La strategia di Bat è messa nero su bianco su un dossier presentato al Capital Markets Day dello scorso marzo: occorre lavorare affinché si aumentino le tasse sul tabacco riscaldato, spingendo quindi i consumatori a tornare alle bionde.
Così eccoci all'ultimo atto. Nell'elenco dei deputati che hanno incontrato lobbisti (è pubblico) ci si trova tutto l'arco parlamentare e tutte e tre le multinazionali del settore. Ognuno gioca le proprie carte come può. A corredo del caso Casaleggio – Philip Morris va notato che l'autore dell'articolo del Riformista che ha fatto scoppiare il caso, Aldo Torchiaro, risultava essere 'Media Relation Director' di Spencer & Lewis, la quale annovera tra i propri clienti i due grandi concorrenti internazionali di Philip Morris. In mezzo ci sono parlamentari e membri del governo, alcuni tirati per la giacchetta, altri invece fedeli a una questione di principio: il fumo, qualunque esso sia, non è mai un affare per salute pubblica.Original Article

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