Quattro minuti nel finale contro il Real Madrid. Cinque a Reggio Emilia con il Sassuolo. Uno solo ieri contro il Bologna. Non è un caso, non può esserlo. Antonio Conte insiste nel mettere in campo Christian Eriksen solo negli ultimi minuti di partita, che l'Inter stia vincendo o che invece perda. Un atteggiamento difficile da spiegare, tanto più che lo stesso allenatore dopo la vittoria di San Siro ha assicurato che fra lui e il giocatore "il rapporto è ottimo". Sarà, ma l'immagine l'hanno vista tutti: l'arbitro Valeri fischia la fine, i giocatori dell'Inter si abbracciano per la vittoria, il solo Eriksen torna in spogliatoio a capo chino, trascinando il passo, con l'atteggiamento di chi è stato pubblicamente umiliato.
Inter-Bologna 3-1: Lukaku e Hakimi, i nerazzurri non si fermano
di
Diego Costa
Nella notte, dopo una partita ben gestita dall'Inter, che ha portato la quarta vittoria in fila, fra gli hashtag più utilizzati sui social network non c'era il nome di Hakimi, autore di una doppietta. Non quello di Brozovic, impeccabile come già mercoledì scorso a Mönchengladbach. E nemmeno quello di Lukaku, di nuovo in gol e sempre più impressionante: 12 reti in stagione, 37 nel 2020 e quattro su quattro in casa dall'inizio del campionato, come Vieri nel 2001/2002. Gli interisti hanno invece proiettato fra le tendenze #Eriksen, esprimendo umana solidarietà a quel giocatore che in Premier League col Tottenham per tanti anni è stato al vertice della classifica degli assist. E chiedendosi come mai l'allenatore lo costringa a mortificanti passerelle di pochi minuti appena, a gara finita.
Ribaltando il motto di Boniperti alla Juventus, di cui Conte è stato capitano e bandiera, gli interisti rivendicano che nello spirito nerazzurro "vincere non è l'unica cosa che conta". Lo scrivono numerosi, chiedendo rispetto per quel giocatore che lo stesso ex ct ha definito "un bravo ragazzo, un po' timido". E perché allora punirlo così? Passando dalla compassione al pragmatismo, si domandano anche come sia possibile che la società non intervenga per denunciare la svalutazione di un asset importante. Perché nel calcio i giocatori sono sì dipendenti, ma anche capitale. Si fosse in una fabbrica automobilistica, sarebbero contemporaneamente operai, macchinari e automobili, per capirsi. Ed Eriksen meno di un anno fa è stato pagato 20 milioni più 7 di provvigioni. Ne guadagna 7,5 netti l'anno a cui vanno sommati i bonus.
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Con ogni probabilità il danese sarà ceduto a gennaio: "Non tratteniamo nessuno che voglia andar via", ha detto l'ad Beppe Marotta, che lo volle così fortemente alla Pinetina. Anche nell'ottica di una cessione del giocatore, però, non si comprende l'utilità di demolirne l'immagine e di conseguenza rischiare di deprimerne il valore di scambio. Resta quindi la domanda: perché Conte si comporta così? È vero, Eriksen in ritiro con la propria nazionale ha espresso dispiacere per non giocare abbastanza nell'Inter, ma è abbastanza per punirlo? Forse Conte non apprezza l'approccio in allenamento del danese (anche se dice il contrario) e in questo caso è legittimo che non voglia impiegarlo. O potrebbe anche voler lanciare un messaggio alla società, in ottica mercato: non vi ho chiesto Eriksen, e non so cosa farmene. Ma perché allora non limitarsi a tenerlo fuori dal campo?
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