Si avvicina sempre di più mercoledì 9 dicembre, una giornata cruciale per Giuseppe Conte: il premier farà le sue comunicazioni in Parlamento – alla vigilia del Consiglio europeo – che sarà chiamato a ratificare l'accordo raggiunto all'Eurogruppo. Prima di partire per Bruxelles presenterà dunque la risoluzione di maggioranza su Mes e Recovery Fund. Lo stesso presidente del Consiglio, nell'intervista rilasciata a La Repubblica, si è detto al sicuro sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità e ha assicurato che il nostro Paese sarà "protagonista di una proposta innovatrice".
In realtà l'avvocato non dormirà sonni tranquilli: a palazzo Madama l'esecutivo ha un margine di soli 6 voti. Deve fare i conti con una fronda interna al Movimento 5 Stelle che rischia di far saltare tutto: ci sono ancora tra i 6 e gli 8 senatori che minacciano di votare "no" alla riforma. "Si respira la stessa aria degli ultimi giorni di governo con la Lega", commenta un membro del governo M5S. Tuttavia, come riporta La Stampa, i ribelli non sarebbero così compatti come si dice e quindi qualcuno di loro "potrebbe limitarsi ad uscire dall'Aula al momento del voto". Comunque le voci che circolano non lasciano serena l'ala governista dei pentastellati.
La strategia dei vertici
I vertici grillini stanno lavorando ormai da giorni per sedare gli animi turbolenti della fronda e sancire la tregua. Il mantra è sempre lo stesso: non si voterà per accedere al Mes, ma solo per approvare la riforma. Il capo politico Vito Crimi è convinto che non si arriverà assolutmente a una crisi di governo: "Io sono convinto che la risoluzione che troveremo sarà unitaria e che porterà a guardare oltre. Non è tanto la riforma del Mes, ma quello che avverrà dopo. Il governo non cadrà". Gli ha fatto eco Luigi Di Maio che sostiene la necessità di dare mandato pieno al premier Conte per presentarsi ai tavoli europei per sbloccare, ad esempio, i fondi del Recovery Fund: "Quindi non solo auspico che vi sia massima unità e compattezza ma io credo sia da irresponsabili votare contro il presidente del Consiglio mercoledì".
Cerchiati in rosso sono finiti i nomi di Bianca Granato, Mattia Crucioli, Elio Lannutti, Barbara Lezzi e Orietta Vanin. Restano in dubbio le posizioni che adotteranno Rosa Amato, Fabio Di Micco e Cataldo Mininno. Grosso punto interrogativo su Nicola Morra che per ora ha scelto la strada del silenzio, ma dai piani alti sono quasi certi che alla fine prevarrà il buonsenso. Qualche dissidente potrebbe votare la risoluzione a patto che si torni a quella "logica del pacchetto" impostata a inizio legislatura.
La strategia di Di Maio va in un senso preciso: buttare la comunicazione sulla salvaguardia di Conte. Il ministro degli Esteri prova a fare da paciere e mostra comprensione per le aspre critiche che stanno arrivando: "Gualtieri non vi ha dato ascolto in Commissione, ma non per questo noi andiamo contro il presidente del Consiglio che abbiamo nominato. Io non ho paura di tornare al voto. Il problema è che perdiamo Conte. E non riusciamo a trovare un altro nome come il suo". Dal Movimento, come se non bastasse, non mancano stoccate contro gli alleati: "Ci stanno volutamente costringendo su posizioni scomode. È un atteggiamento che deve finire, perché la pazienza è finita".
Il ricatto per la poltrona
Lo scontro potrebbe diventare veramente sanguinoso non solo all'interno del gruppo giallo, ma soprattutto sul piano parlamentare. Come si legge su La Repubblica, per il reggente Vito Crimi "chi voterà contro la risoluzione scritta dai gruppi di maggioranza rischia quel che rischia chi va contro le decisioni del suo gruppo". Ovvero potrebbe essere indispensabile l'espulsione senza né scuse né appelli. A spaventarlo è stata pure quella lettera firmata da 17 senatori e 52 deputati pentastellati per ribadire la totale contrarietà al fondo salva-Stati e per chiedere ai colleghi di votare "no" in maniera compatta.
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