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Erno Rubik. Nella vita ci vuole anche il Cubo

Si potrebbe dire che questa vita è un rompicapo, ma sarebbe troppo facile, giacché si tratta della biografia di Erno Rubik. Avete presente il cubo? Ecco, l’inventore è lui. Il designer ungherese oggi settantaseienne che considera la propria creatura «il maggiore dei suoi figli». Gli piacciono – racconta nelle pagine di Il Cubo e io (Utet) – «le possibilità che il Cubo racchiude, e addirittura adoro il piacere visivo offerto dalla sua forma». Legittimamente si compiace Rubik, e si auto-intervista per svelarci che, mentre studiava un problema geometrico nella primavera del 1974, gli spuntò nella testa l’idea del Cubo.
La verità è che non sa bene nemmeno lui come e perché. E così si diverte a fare un po’ il misterioso, gioca con il proprio stesso stupore di fronte al successo planetario del Cubo, e infila aneddoti della sua infanzia. Un padre aviatore non esattamente spiritoso, una madre invece capace di «trasformare facilmente le lacrime in risa e sorrisi», la nascita nei giorni dell’occupazione tedesca di Budapest; la precoce passione per il disegno e per i rompicapo, tangram, pantamino, scacchi: «Mi dedicavo al percorso del cavallo per ore, disegnando le traiettorie su una griglia e vedendole concretizzarsi man mano che muovevo il pezzo…». Il re degli scacchi!
Racconta di qualche lettura illuminante, il rapporto con l’apprendimento scolastico, la noia sui banchi, «propedeutica al mio interesse per la geometria». Che l’ha portato dritto al Cubo che porta il suo nome: lasciando che un problema irresolubile stimolasse la sua immaginazione, prendendosela comoda, Rubik ha dimenticato le domande e ha trovato una risposta in forma di poliedro magico 3D. Vi è mai capitato di ragionare sulla possibilità di assemblare otto piccoli cubi «in maniera tale che restassero uniti fra loro ma fosse anche possibile spostarli singolarmente»?
Ecco, a Rubik sì: e nella sua stanza di lavoro, piena di biglie, giocattoli, modellini, pezzi di carta scarabocchiati, viti, spilli, molle, righelli, un pomeriggio di primavera prossimo al suo trentesimo compleanno ha fatto la sua magia. Materializzando tridimensionalmente un concetto. E allo scialbo progenitore del Cubo aggiunge i colori, perfeziona la struttura, amalgama meglio rigidità e flessibilità. Ecco a voi.
Un oggetto meravigliosamente inutile, un enigma tangibile, diciamo pure a portata di mano. Ma non c’è da scherzare: «Il gioco – sostiene Rubik – è una delle cose più serie al mondo. Spesso facciamo le cose davvero bene solo quando le facciamo per gioco».
Il libro
Il Cubo e io di Erno Rubik (Utet, traduzione di Carlo Prosperi, pagg. 195, euro 19)
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