Per Elio Germano, quarant'anni da settembre, si apre una settimana speciale. Mercoledì 9 arriva su Netflix L'incredibile storia dell'Isola delle rose di Sydney Sibilia, in cui interpreta l'ingegnere che nel '68 costruì una piattaforma al largo di Rimini, fuori dalle acque territoriali, che divenne un regno utopico distrutto dallo Stato italiano. Sabato lo aspetta la cerimonia finale – virtuale – degli Efa, gli European Film Awards, in cui è candidato come miglior attore per il Ligabue di Volevo nascondermi.
Lei gira solo due film l'anno. Perché "L'isola delle rose"?
"Era una storia avvincente, mi faceva ridere il percorso del protagonista, volevo lavorare con Sydney. È un film di intrattenimento che non ha velleità sociali. Una commedia che però racconta una storia sconosciuta, non so se per dolo o per effetto del tempo, che suscita qualche riflessione. È ambientata in un '68 che non va letto in chiave ideologica. Non si tratta di un'isola libera in cui si pratica il socialismo. Giorgio Rosa brevetta tubi telescopici e ci costruisce un luogo dove vuole fare quel che gli pare. È il regno di ragazzi che ne approfittano per fare ciò che è proibito in Italia: giocare a poker, prendere il sole nudi, ubriacarsi".
Nei personaggi di allora si respira un grande senso di libertà rispetto all'oggi.
"Sono andato a Bologna in posti che per fortuna ancora esistono per capire il dialetto di allora. Ho ascoltato tanti racconti delle follie che facevano negli anni 60: si faceva a gara su chi era più stravagante, folle, creativo, artistico. Si cercava di emergere non in senso carrieristico, ma per tirarsi fuori dalla massa. Ora vedo solo una gara all'omologazione. Nei filmati degli anni Sessanta in discoteca, allo stadio, al mercato, non puoi non accorgerti della mancanza di inquinamento nella testa delle persone, di percezione della propria immagine. I nostri genitori avevano sei, sette foto, oggi un bimbo di quattro anni ne ha migliaia. Ci confrontiamo così spesso con la nostra immagine che controlliamo, ci comprimiamo nella paura di esporci al giudizio. Le foto sono tutte uguali: la stessa messa in posa davanti a panorami diversi"
Che rapporto ha con le piattaforme?
"Il film sarebbe dovuto uscire prima in sala, ma non si può. Spero lo vedano in tanti. Io guardo i film in originale, in sala non li trovo. Cerco sulle piattaforme opere di altri continenti, adoro il cinema indiano, mi piace confrontarmi con altre culture. Le piattaforme devono servire a dare conto di questa differenza di culture. Non invece a omologare, copiando i film che funziono. Se si uccide la ricchezza della differenza si fa un attentato al cinema. L'arte è piacevole se ribalta qualcosa. Se invece c'è un pacco da vendere un po' ti senti fregato".
È candidato agli Efa per la terza volta.
"Sì, mi fa piacere. Per me, per il film, e per il cinema italiano. Mi sento un po' come alle Olimpiadi, in rappresentanza delle nostre categorie. Non sono il solo attore in corsa: sono un fan di Luca Marinelli e di Pietro Marcello, con cui ho girato Bella e perduta. E poi c'è Favolacce, con cui eravamo insieme anche a Berlino, candidato per la sceneggiatura. Incrociamo le dita".
Dieci anni fa vinse la Palma da attore a Cannes con "La nostra vita". Che ricorda?
"Che sono scappato appena possibile da tutto, dalle feste, dai tappeti rossi. Con Daniele Luchetti siamo andati a mangiare crostacei crudi. Tornando a casa, non avevo ancora un telefonino smart, accesi e trovai 300 messaggi, compresa gente che veniva alle elementari con me e aveva sentito della vittoria".
Quel premio le ha cambiato la carriera?
"Assolutamente no. Me l'hanno anche rubato quando mi sono entrati i ladri dentro casa: il pezzo d'oro che è la palmetta, il resto c'è tutto. Ma ai premi, anche all'Orso di Berlino, ci pensi nei momenti di amarezza. Quando fai un bilancio della vita, di questo mestiere d'attore che ti lascia sempre appeso con la paura che finisca da un momento all'altro, anche se da anni lo fai con continuità. Ti confermano che c'è chi apprezza i tuoi lavori".
In questi giorni è impegnato con il teatro.
"Con il Teatro della Pergola di Firenze prepariamo un lavoro in realtà virtuale, riscrittura di un testo di Pirandello, si chiama Così è o vi pare. Si guarda tutti insieme con il visore. Questo linguaggio permette la cosa più pirandelliana di tutte, essere all'interno nella scena. E la domanda: è virtuale o reale? È quanto di più pirandelliano possa esistere".
Com'è stata la sua vita nei mesi scorsi?
"Non è cambiata un granché. Cerco di fare un paio di film l'anno e prendermi del tempo per me, per progetti non remunerativi. Mi sembrava quasi una situazione normale, la cosa strana era che nessuno mi veniva a trovare a casa".
Della questione del Natale cosa pensa?
"Sono nelle colline del Chianti e per queste due settimane non frequenterò queste notizie. Non riusciamo ancora a fare un ragionamento sugli ospedali pubblici ma lo facciamo sul cenone, sulle discoteche, sugli impianti di sci? Credo che le questioni siano altre".
Da questa seconda ondata non sembra ne usciremo migliori.
"Questa è una percezione dei social, non rappresenta la realtà. A una crisi totale si reagisce in due modi, si migliora o peggiora e la differenza è nelle singole persone. Finiscono certe recitazioni delle nostre vite ed esce fuori il carattere. Spero che chi è cambiato in meglio porti il sentimento della sua sfera personale in quella pubblica, politica".
Cosa si augura per il futuro?
"Stare bene, stato d'animo che per me si declina nella condivisione. Una possibilità di vita, in un mondo fatto di conflitti tra chi arriva prima. La cosa che mi è mancata di più in questi mesi sono stati gli abbracci".Original Article
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