LONDRA. La fabbrica di cioccolata. James e la pesca gigante. Matilde. Le streghe. Ma anche un viscerale antisemitismo, come rivelato in un'agghiacciante intervista al settimanale New Statesman nel 1983 e come ammesso da lui stesso sette anni dopo, prima di morire. Roald Dahl, il grande scrittore inglese che ha incantato la fantasia di centinaia di milioni di bambini in tutto il mondo, era tutto questo. Ma in vita lui non se n'era mai fatto un problema, anzi era stato molto esplicito. Ora però, i suoi eredi si scusano pubblicamente, come svela oggi il Sunday Times: "La famiglia Dahl e la compagnia Roald Dahl Story si scusano profondamente per l'estremo dolore che hanno provocato certe dichiarazioni di Roald Dahl in passato", è comparso all'improvviso sul sito ufficiale dedicato all'autore morto a 74 anni il 23 novembre del 1990, "quelle affermazioni dense di pregiudizio ci suonano ancora come inspiegabili e sono in forte contrasto con l'uomo che abbiamo conosciuto in vita insieme ai suoi valori. Le storie di Roald Dahl hanno avuto un impatto positivo sui giovani per generazioni. In ogni caso, quello che Dahl ha detto e scritto, nel bene e nel male, ci ricorda quanto importanti siano le parole nella vita".
Tuttavia, il messaggio di scuse resta strambo, perché è estremamente discreto. Non è stato pubblicato in homepage o in qualche modo in evidenza sul sito, bensì in una pagina piuttosto nascosta e in fondo. Ma un fan di Dahl l'ha notato e segnalato al settimanale britannico. Come mai tanta timidezza? "Lo abbiamo pubblicato sulla pagina ufficiale ed era rintracciabilissimo su Google", si difendono gli eredi al settimanale inglese. Ma certo, pare più una mossa pianificata che una dimenticanza o un errore, anche perché, come nota lo stesso Sunday Times, gli eredi dello scrittore da tempo hanno arruolato una delle maggiori agenzie pubblicitarie e di pubbliche relazioni del mondo, la Portland Communications. Non certo degli sprovveduti. Probabilmente, non volevano fare troppo rumore. Ma nell'era "social & share", era un auspicio molto fragile.
Ma perché questo straordinario intervento arriva ora? E perché, per l'occasione, per la prima volta dopo molti anni si sono incontrati tutti gli eredi tra i quali non corre affatto buon sangue, come la 56enne figlia Ophelia (che detiene la maggioranza degli asset) e il 34enne nipote Luke Kelly? Il punto è che Dahl, a 74 anni dalla sua morte, è ancora una spaventosa macchina da soldi, tra film, copie vendute, royalties, diritti ceduti in giro per il mondo, oltre al suo nome utilizzato per associazioni umanitarie e ong dedicate a bambini in difficoltà cui va l'8% del fatturato dell'industria Dahl: solo nel 2018, racconta sempre il ST, gli eredi hanno ricevuto quasi 14 milioni di introiti su oltre 25 di fatturato. Lo scorso marzo Netflix ha annunciato un nuovo riadattamento della Fabbrica di cioccolato diretto dal regista premio Oscar Taika Waititi, in ottobre Warner Bros ha fatto uscire il film tratto da Le streghe. Insomma, c'è un marchio da preservare, oltre alla sua reputazione e ovviamente il tesoro che genera ogni anno nelle tasche della figlia Ophelia, del nipote Luke e di tutti gli altri. Secondo il Sunday Times, le preoccupazioni più grandi degli eredi sono riguardo al mercato americano (solo il 15% del fatturato arriva dal Regno Unito). Anche perché Dahl non si è mai pentito di quelle frasi in vita. Anche se, paradossalmente, durante la Seconda guerra mondiale da pilota della Raf aveva combattuto contro i nazisti.
Ma che cosa aveva detto Dahl sugli ebrei in quella famigerata intervista? Osservazioni aberranti: "C'è un lato del carattere dei ebrei che provoca ostilità, forse per la loro mancanza di generosità verso i non ebrei. Ci deve essere una ragione perché queste reazioni contro di loro spuntino fuori ogni volta… persino una carogna come Hitler non li aveva certo scelti a caso…". Poco prima di morire, poi, lo scrittore confermò tutto all'Independent: "Sono certamente anti-Israele, e sono diventato antisemita soprattutto quando vedo un ebreo in un Paese straniero come l'Inghilterra che sostiene il sionismo". Ma, al di là delle polemiche riesplose di recente con il celebre comico ebreo David Baddiel che nel 2017 boicottò il Roald Dahl Day del 13 settembre (giorno di nascita dell'autore), all'epoca la fortuna e il nome di Dahl non subirono poi troppe conseguenze. Nemmeno quando il quotidiano ebraico inglese The Jewish Chronicle lo chiamò a casa per avere chiarimenti sulle accuse di antisemitismo, e lui ruggì al telefono: "Ho una certa esperienza per sapere il modo in cui trattare gente come voi: no comment!". Clic. Dahl non si pentì nemmeno quando due bambine americane di San Francisco, poco prima che lui morisse, gli scrissero una commovente lettera: "Signor Dahl, noi amiamo i suoi libri. Ma c'è un problema: siamo ebree! Amiamo i suoi libri ma lei non ci vuole bene perché siamo ebree. Ciò ci offende. Potrebbe cambiare idea sugli ebrei? Cari saluti, Aliza e Tamar". Solo in quel caso, la replica dello scrittore fu: "Io sono contro le ingiustizie, non gli ebrei".Original Article
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