Toglietegli tutto, ma non il suo eskimo. Debutta nel panorama giallo/ noir/ poliziesco lombardo, e italiano, il vicequestore Martino Ribaud, veneto di base a Como come l’autore, il giornalista Umberto Montin, al suo primo romanzo. In A muso duro ( Robin Edizioni) il vicequestore, convalescente per una ferita d’arma da fuoco, torna dai suoi genitori, con eskimo di ordinanza, e riapre un cold case degli anni di piombo. Una ragazza, compagna di lotte studentesche, con cui aveva avuto una relazione, si suicida, ma il nostro non ha mai creduto a questa tesi e, dopo trent’anni, cerca il colpevole di quello che potrebbe essere stato un omicidio. Per capire cos’è successo alla giovane donna, il cui ricordo condiziona la sua vita privata, Ribaud rintraccia i reduci di un periodo storico ancora irrisolto, tra chi è rimasto fedele ai propri ideali giovanili e chi li ha svenduti al primo offerente.
«Lo spunto è autobiografico» dice Montin, sessantaduenne. «Quelli della mia generazione sono figli del ‘68. Al liceo, come il mio personaggio, volevamo fare la rivoluzione. Volevo raccontare l’altra faccia degli anni di piombo. Un’epoca che è stata anche felice, ma di cui si ricordano solo gli assassini. Eravamo degli illusi forse, ma almeno leggevamo tantissimo, ci documentavamo e sognavamo. Ricordo grandi discussioni politiche, la politica era tutto, anche troppo. Meglio illudersi, sperare di cambiare il mondo, piuttosto che smettere di farlo» continua l’autore, che fa immergere il suo investigatore nel suo passato, con gli inevitabili bilanci.
Tra gli ex compagni c’è chi ha cambiato stile di vita e idee politiche, e anche il ribelle Ribaud nella versione poliziotto non convince tutti, il che, in uno dei passaggi più belli, porta a una riflessione sulla giustizia. " Dopo l’università non sapevo cosa fare, ho provato così, quasi per sfida, a presentare la domanda in polizia. E mi hanno preso. A quel punto era un lavoro come un altro; del resto scovare i criminali, magari gli insospettabili e quelli perbene, è stato un po’ come fare la rivoluzione. Tanti atti di giustizia proletaria… no, forse è meglio dire giustizia sociale" dichiara il protagonista.
È nato un nuovo personaggio seriale, nelle intenzioni di Montin, mentre il canone letterario in cui s’inserisce continua a essere molto amato. « L’intrigo piace sempre e ti permette di denunciare i mali della società » sostiene lo scrittore, che ha nostalgia di una «sinistra che faccia sognare. Oggi sono i capitalisti di tutto il mondo che parlano delle disuguaglianze».
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