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Suore, lotte e denaro: i monasteri di Palermo come teatri del potere

La spiritualità femminile medievale è finalmente diventata un tema di ricerca anche per gli storici italiani e Per gli antichi chiostri. Monache e badesse nella Palermo medievale di Patrizia Sardina (Palermo University Press, 309 pagine, 10 euro l’edizione cartacea e 3.50 il pdf) colma una lacuna almeno per Palermo, descrivendo non solo il profilo spirituale ma anche le ricadute economiche e i legami sociali di monasteri femminili profondamente radicati nel tessuto urbano.
Patrizia Sardina utilizza i documenti fiscali per osservare cosa sono diventati i monasteri nel Quattrocento: a Palermo nel 1443 vengono tassati otto monasteri femminili che accolgono 158 suore, sette sono nel quartiere Cassaro, le benedettine sono protagoniste con i tre monasteri di Santa Maria del Cancelliere, Santa Maria della Martorana e Santa Maria delle Vergini. Ma le più ricche sono le suore di Santa Caterina che dipendono dal convento di San Domenico, dove si contano venti monache, quattro giovani diaconi, cinque cappellani e due procuratori.
Sono tutti monasteri già antichi, tre su otto risalgono all’epoca normanna. Il primo, San Salvatore, era stato fondato nel 1073 da Roberto il Guiscardo e nella Sicilia ancora bizantina apparteneva all’ordine basiliano; in seguito, ad alti funzionari della Corte normanna si devono due monasteri benedettini. Nel Trecento le famiglie che controllano la città fondano altri tre monasteri, sempre sul Cassaro, e ognuno di loro possiede case, cortili, botteghe, taverne e magazzini. Tutti beni che vengono dati in enfiteusi o venduti per far fronte alle spese: la mancanza di denaro liquido tocca anche i monasteri più ricchi e allora facilmente troviamo badesse che danno in pegno oggetti sacri con la speranza di poterli riscattare, come Agnese de Pulcaro, priora di Santa Caterina, che ha impegnato candelabri e incensiere per comprare frumento e formaggio.
Nei monasteri non ci sono soltanto le suore. Vi troviamo anziane vedove in cerca di assistenza, fanciulle destinate alle nozze e ospiti per brevi periodi, orfane e figlie naturali di nobili e cavalieri. Le famiglie benestanti ricavano indubbi vantaggi dalla monacazione di una figlia: per fermarsi soltanto alle doti, nel 1488 Francesca figlia di Giacomo Bologna entra a Santa Caterina con 30 onze e la sorella Costanza, destinata alle nozze, ha una dote di ben 500 onze. Ma, lo stesso, i monasteri continuano a essere scenari su cui esercitare la propria influenza e fra le badesse spiccano le figlie dei Chiaromonte, degli Abatellis, degli Spatafora.
Le monache conducono un’esistenza protetta e infatti vivono molto più a lungo delle laiche: l’isolamento le protegge da violenze ed epidemie, la dieta è varia e l’assistenza sanitaria buona. Ma il chiostro non protegge certo dalle lotte politiche. Così, suor Fiordaliso viene addirittura fatta prigioniera perché nel 1393 rifiuta di appoggiare Enrico Chiaromonte che si era ribellato a re Martino e aveva occupato Palermo: lo stesso riesce a diventare badessa, in seguito non le verrà risparmiata la deposizione e nemmeno il carcere.
Ci sono pure le lotte interne, come in ogni comunità che si rispetti. Nel 1451 troviamo che a San Salvatore scoppia la guerra tra la badessa e le suore ribelli capeggiate da Tambona Spatafora, che vince e mantiene la carica di badessa per i successivi quarant’anni. Anche a Santa Chiara ci sono scontri e le badesse appartengono a ricche famiglie nobili, ma fra le suore troviamo fanciulle che si erano rifugiate nel monastero dopo avere mandato a monte matrimoni combinati.
I monasteri femminili, così radicati, mantengono relazioni con tutte le componenti del tessuto urbano: sfamano i mendicanti, accolgono poveri e malati nei loro ospedali, ospitano bambini abbandonati e nel Quattrocento le monache della Martorana ricevono un sussidio dall’ospedale cittadino apposta per mantenere i trovatelli.
La scelta del monastero non è sempre libera e non sempre il comportamento delle monache appare irreprensibile. Gli scandali sono frequenti. Nel 1408 re Martino stabilì che il monastero di Santa Caterina fosse amministrato da tre probi viri di almeno 60 anni, ma le suore continuarono a essere chiacchierate e le nobildonne rifiutavano di avere a che fare con un luogo tanto malfamato. Pochi decenni dopo sono le suore di San Salvatore a subire l’accusa d’essere « schiave delle tentazioni carnali » . Ma sono scandali che facilmente si comprendono alla luce delle condizioni che le hanno portate a scegliere il chiostro.
Un lungo discorso sarebbe da dedicare alle opere d’arte custodite nei monasteri e adesso nei musei, ma quella più inaspettata e stupefacente è il soffitto ligneo a cassettoni dipinto a tempera che si trova nella sacrestia interna di Santa Caterina: forse commissionato da una priora, che nei colori, negli animali e nei soggetti fantastici molto ricorda il più famoso soffitto dello Steri.Original Article

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