La sentenza di Cassazione per la strage di Viareggio si conoscerà l'8 gennaio. Per ultima ha parlato l'avvocata Paola Severino che difende Rfi e che è stata anche ex ministra della giustizia. Appena prima l'arringa di Armando D'Apote, il legale che difende Mauro Moretti, ex ad di Rfi e di Fs condannato in primo e secondo grado a 7 anni di reclusione. Il pg, Pasquale Fimiani, per lui e per altri tre imputati (i due manager assolti, Giovanni Costa e Giorgio Di Marco e l'ex certificatore della sicurezza di Rfi Francesco Favo, condannato a quattro anni), ha chiesto un nuovo processo di appello. "Pensavamo di poter avere in mano una sentenza e invece slitta tutto a gennaio, ma noi non ci fermeremo" promette Marco Piagentini, l'uomo simbolo della strage di Viareggio, collegato online dalla sede della Croce Verde, uno dei luoghi distrutti dalle fiamme in quel 29 giugno 2009. La sentenza della Cassazione si fa attendere.
Strage di Viareggio, protestano i familiari delle vittime
L'udienza del processo si è chiusa con gli interventi degli avvocati degli imputati a vario titolo di quel disastro ferroviario ma senza il verdetto che sarà reso noto a gennaio. "Slitta la sentenza, ma voi rimanete collegati con noi sulla nostra pagina Facebook vi faremo sapere le prossime inziative" raccomanda Piagentini che nella tragedia del treno merci che trasportava gpl e che è esploso appena fuori la stazione di Viareggio, ha perso i suoi due figli più piccoli, la moglie. Lui è sopravvissuto assieme al figlio più grande, entrambi gravemente feriti. Piagentini si è sottoposto a sesssanta interventi. Sono rimasti collegati, col fiato sospeso da giorni, a seguire in assemblea i lavori della Corte di Cassazione a Roma: fuori alcuni dei familiari delle vittime: Daniela Rombi e Claudio Menichetti, genitori di Emanunela, 21 anni, una delle 32 persone che nell'incidente hanno perso la vita. Gli altri in collegamento online. Piagentini, presidente della associazione "Il Mondo che vorrei" che in questi anni ha riunito i parenti delle vittime ha fatto da coordinatore degli interventi anche di familiari di altre stragi italiane. Fra gli interventi di questa mattina, particolarmente interessante quello di Fabrizio D'Errico, l'ingegnere del Politecnico di Milano che ha realizzato per la difesa dei familiari, la ricostruzione in 3D (mostrata in aula durante il processo di primo grado) dell'incidente. Quando a metà mattina il legale dei familiari, Tiziano Nicoletti esce dall'aula spiega: "Le tesi in aula di Ferrovie, secondo quanto hanno espresso i loro legali è che tutto è derivato dalla rottura dell'assile, insistono anche sul fatto che la velocità più ridotta non sarebbe stata determinante". Come si arriva alla Cassazione?
Cassazione strage di Viareggio, il Pg chiede appello bis per Moretti
La condanna di Moretti in appello
La corte di appello di Firenze ha ritenuto Mauro Moretti, amministratore delegato del gruppo Ferrovie dal 2006 al 2014, corresponsabile, con i vertici delle società controllate Trenitalia e Rfi, delle gravi omissioni in materia di valutazione dei rischi sul trasporto di merci pericolose. Omissioni che – secondo i giudici – furono una delle cause dell'atroce incidente ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009 e della morte di 32 persone, fra cui tre bambini, divorate dalle fiamme o dilaniate dall'esplosione del Gpl uscito dalla ferrocisterna deragliata poco dopo la stazione. Mauro Moretti è stato condannato a sette anni per concorso in disastro colposo e omicidio colposo plurimo aggravati dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Con lui vengono condannati a pene e per reati diversi, una trentina di imputati. Dai vertici di ferrovie ( Vincenzo Soprano ex ad di Trenitalia e Michele Mario Elia ex ad di Rfi) a chi doveva occuparsi della manutenzione e dei controlli di sicurezza del treno merci partito da Trecate (Novara) e diretto a Gricignano di Aversa (Caserta) con i suoi 14 carri cisterna che contenevano gpl. A parte i 4 citati, per gli altri il pg ha chiesto la conferma del verdetto di appello.
Assonime
In ottobre, nell'imminenza dell'udienza in Cassazione, Assonime, la associazione delle società italiane per azioni, ha pubblicato un documento di 37 pagine per contestare la sentenza di appello sul disastro ferroviario di Viareggio. Assonime, presieduta da Innocenzo Cipolletta che nel 2009 era presidente del Gruppo Ferrovie, contesta i supposti "vizi di ragionamento" della sentenza di appello, che ha riconosciuto "la responsabilità penale dell'amministratore delegato di una società capogruppo per la mancata adozione delle cautele necessarie ad evitare un grave evento dannoso il quale, nella ricostruzione della decisione, è stato la conseguenza di un illecito imputabile in via diretta alle società proprietarie del carro merci deragliato e alle società appaltatrici dei servizi di manutenzione e, in via indiretta, alle società controllate dalla capogruppo (Trenitalia e Rfi – ndr) che non avevano adeguatamente vigilato sul rispetto delle regole di sicurezza nella circolazione ferroviaria". Assonime ricorda che la maggior parte delle società di dimensioni medio grandi è organizzata in forma di gruppo e sostiene che sarebbe grave attribuire ai vertici delle controllanti tutti gli illeciti commessi dalle controllate, salvo che non si sia in presenza di situazioni patologiche e fraudolente.
La sentenza di primo grado
Il tribunale di Lucca aveva in un certo senso anticipato la tesi di Assonime, escludendo che vi fosse stata da parte dell'ingegner Moretti una "sistematica interferenza" o "una amministrazione di fatto" nelle scelte delle controllate. E perciò aveva condannato Mauro Moretti soltanto in quanto ex amministratore delegato di Rfi (Rete ferroviaria italiana). Tesi che ricompare ora nella requisitoria del pg di Cassazione Pasquale Fimiani, che ha chiesto un nuovo processo per Mauro Moretti. L'amministratore delegato di una holding può ritenersi corresponsabile delle scelte delle controllate?
Il ragionamento della corte d'appello di Firenze
La sentenza di condanna di Mauro Moretti in secondo grado non dovrebbe però preoccupare gli amministratori delegati delle holding. La corte di appello di Firenze, infatti, non ragiona sulle responsabilità di una qualunque capogruppo e di un qualunque ad, ma della holding del Gruppo Ferrovie dello Stato e di Mauro Moretti. Esaminando "in una visione unitaria" una cospicua serie di documenti e diverse testimonianze rese durante il processo di primo grado, a Lucca, la corte è giunta alla conclusione che la capogruppo era una holding sia operativa che gestoria, e che accentrava su di sé tutte le decisioni fondamentali delle controllate, incluse quelle sulla sicurezza. Il suo statuto del 27 aprile 2007, quando l'ingegner Moretti era amministratore delegato, prevede fra gli oggetti sociali "la realizzazione e la gestione di reti di infrastruttura per il trasporto ferroviario" e "lo svolgimento dell'attività di trasporto di merci e di persone", compiti propri, rispettivamente, delle controllate Rfi e Trenitalia. Sin dalla sua nascita – scrivono i giudici – la capogruppo si è attribuita "poteri già formalmente più ampi (sulle controllate – ndr.) di quelli di mera 'direzione e controllo' ." Sin dall'inizio ha imposto alle controllate obiettivi e strategie e uno stringente controllo sui finanziamenti, sugli investimenti e sulle operazioni svolte dalle singole società. Di fatto – sostengono i giudici – le controllate non avevano autonomia e tutto decideva la controllante: circostanza rilevata e censurata sia dalla Corte Europea di Giustizia che dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato. In una situazione di assoluto accentramento delle decisioni – proseguono i giudici – le scelte in materia di investimenti, di fatto decise in via esclusiva dalla controllante, coinvolgevano "inevitabilmente" l'ambito della sicurezza. Concentrando tutto su di sé, la holding e il suo amministratore delegato si erano creati – conclude la corte – "l'obbligo giuridico di gestione anche dei rischi propri delle controllate".
La riduzione degli investimenti in sicurezza
L'ingegner Moretti è molto apprezzato sia dalla politica che dal mondo imprenditoriale per aver risanato i conti delle Ferrovie. Ma a quale prezzo? La sentenza di appello cita la Corte dei Conti che in una determinazione del 2010 sulla gestione finanziaria di Rfi ha rilevato che le risorse destinate alle tecnologie per la sicurezza si sono ridotte da 85,66 milioni spesi nel 2006 a 41,33 nel 2007, a 17,22 milioni nel 2008 e a 16,03 milioni nel 2009. Non c'è prova – precisano i giudici – che questa riduzione di spesa sia stata imposta dalla capogruppo, ma non risulta neppure che essa sia mai intervenuta per sollecitare o imporre l'utilizzo di maggiori risorse. Secondo i giudici di appello, documenti e testimonianze provano che la capogruppo "ha condizionato in modo forte l'attività delle controllate per raggiungere l'obiettivo del risanamento". Che però – "pur importante" – a loro giudizio "non poteva costituire l'obiettivo primario né del Gruppo né delle singole società addette ad assicurare il trasporto ferroviario, dovendo esse privilegiare le esigenze di sicurezza ed efficienza del servizio fornito, rispetto a quel diverso obiettivo".
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