C’è un virus che da anni, ben prima del Covid-19, circola indisturbato in questo Paese impedendo agli italiani di raccontarsi la verità. Ce lo ricorda Ferruccio de Bortoli nel suo ultimo saggio, lucido e inclemente. Appena pubblicato da Garzanti, Le cose che non ci diciamo (fino in fondo) spiega che quel virus non risparmia nessuno. Ma soprattutto ha contagiato fin dentro le viscere la nostra classe dirigente.
Nessuno ha il coraggio di dire che da troppo tempo viviamo al di sopra dei nostri mezzi, e che stiamo rubando il futuro ai nostri figli e nipoti. E nessuno ha il coraggio e la forza di agire di conseguenza, per fermare la deriva. Continuiamo a vivere a debito. E con l’arrivo della pandemia ogni preoccupazione per l’enorme debito pubblico accumulato nei decenni delle cicale, e che ora viaggia verso il 160 per cento del pil, sembra definitivamente uscita dai radar. Negli ultimi mesi del 2020, poi, il miraggio di una valanga di soldi dall’Europa ha dato la stura «allo scialo delle promesse, a un fuoco d’artificio di desideri e risposte, spesso incaute». Scrive de Bortoli che «a mettere tutto in fila ci si accorge che i 209 miliardi, tra sussidi e prestiti che spettano all’Italia, sono già finiti da un pezzo. Con i soldi europei si pensa di poter fare di tutto: dal taglio delle tasse al ponte o al tunnel di Messina; dalla ricostruzione di Amatrice alla fiscalità di vantaggio per il Sud (…) Si è dato in questo modo la peggiore tra le lezioni di educazione civica (ed economica) che sarebbe indispensabile avere. Ce n’è per tutti. Avanti».
L’importante è promettere, sempre con un occhio al consenso di breve periodo, e senza mai dire le cose come stanno. Il reddito di cittadinanza, ideato per «abolire la povertà» ma che secondo l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri per metà sarebbe andato agli evasori fiscali. O la “quota 100”, sbandierata dal leader leghista Matteo Salvini con lo slogan “largo ai giovani”, che ha mandato in pensione soprattutto dipendenti pubblici e non ha affatto aperto la porta ai giovani. Mentre Salvini continuava a proclamare che grazie alla quota 100 «300 mila giovani hanno trovato un posto». Falso. Come la favola che per mettere al riparo il Paese dal coronavirus lo stato abbia messo «la potenza di fuoco nel motore dell’economia. Parliamo di 750 miliardi…» (tweet del presidente del consiglio Giuseppe Conte, 6 aprile 2020), perché, precisa de Bortoli, «lo stato non ha mai immesso 750 miliardi nell’economia. Un conto è la spesa diretta, un conto sono le garanzie ai prestiti erogati dal sistema bancario alle imprese».
E la follia dei bonus e dei sussidi distribuiti a pioggia, a tutti? Perfino ai meno colpiti dalla crisi. Perfino ai professionisti milanesi che hanno comprato la bicicletta elettrica di ultima generazione mentre «la mobilità di un pendolare qualsiasi, magari residente in una città con meno di 500 mila abitanti, non è stata incentivata». Con le lobby e le corporazioni che ne hanno serenamente approfittato per portare a casa ognuna qualcosa. Come la Confindustria, proprietaria fra l’altro del Sole24Ore, che de Bortoli ha pure diretto fra le due stagioni della sua direzione del Corriere della sera (alcune delle migliori nella storia del quotidiano). Con piena onestà intellettuale: la stessa che oggi non gli impedisce di criticare duramente l’organizzazione degli industriali per aver ottenuto dal governo la sospensione del pagamento Irap. «È triste che la Confindustria, impegnata a difendere le ragioni dell’impresa si sia concentrata solo sul proprio interesse di bottega. Abbia fatto finta di niente. Alimentando così, senza volerlo, le tossine oscure del risentimento sociale».
La verità, denuncia il saggio, è che la pandemia ha amplificato le diseguaglianze endemiche nel nostro Paese. Cominciando proprio dai diritti fondamentali. L’istruzione, per esempio. In mesi perduti a ciacolare senza costrutto sui banchi monoposto con le rotelle («consentono di mettersi a cerchio!» esulta la grillina Paola Taverna) è stato completamente ignorato il dramma delle famiglie meno abbienti, soprattutto al Sud, che non hanno potuto per mancanza di mezzi garantire ai figli la possibilità di seguire le lezioni a distanza. Con conseguenze sociali pesantissime. Per non parlare dell’“ipocrisia dello smart working”, che nel pubblico impiego ha consentito ai fannulloni di fare ancora meno e senza alcuna penalizzazione, mentre i dipendenti privati delle aziende ferme andavano in cassa integrazione. Mentre la politica, anziché cercare di affrontare con buonsenso i problemi che l’epidemia ci ha spietatamente sbattuto in faccia, pare ossessionata dall’idea di mortificare la concorrenza e riportare l’economia quanto più possibile in mano pubblica. E qui de Bortoli sottolinea un piccolo dettaglio sfuggito anche ai più esperti osservatori, che però la dice lunga su quanto le cose siano cambiate: il 10 luglio 2020 la Cassa depositi e prestiti, la banca del Tesoro, ha investito 10 milioni di euro nel gelato Sammontana. Un quarto di secolo dopo aver venduto l’Italgel, ecco che lo Stato «sia pure indirettamente, rientra nei gelati». Un’altra piccola cosa che non ci diciamo…
Il libro
Le cose che non ci diciamo (fino in fondo) di Ferruccio de Bortoli (Garzanti, pagg. 160, euro 16)Original Article
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