La prima volta che Douglas Fairbanks si fece spuntare i baffetti al cinema, sotto cappa e spada parve assai credibile. Fu un D'Artagnan in grado perfino di smantellare una delle frasi più pronunciate all'uscita dalle sale: era meglio il libro. La rivista Lifescrisse che "mai un personaggio celebre di un celebre romanzo ha ricevuto sullo schermo un trattamento così buono". Solo che del D'Artagnan di Dumas, sotto i baffetti del divo americano, c'era poco. La stessa Costanza non era sposata e alla fine nemmeno moriva. Fairbanks veniva dal successo di Zorro e in fondo pure D'Artagnan, nella prima pagina del romanzo, viene raccontato come un Don Chisciotte a 18 anni. Se una storia comincia con così tante mescolanze, così continua. Non esiste un testo più riscritto dei Tre Moschettieri, più reinterpretato, un testo così noto e così poco conosciuto. Degli uomini di fiducia di Luigi XIII sappiamo molte cose, eppure diciamo la verità: il romanzo chi l'ha letto?
"Perché non te lo fanno mica leggere nella sua versione originale. Io per esempio l'ho scoperto tardi" dice Giovanni Veronesi, il regista di Tutti per 1 – 1 per tutti, che a sale chiuse vedremo su Sky Cinema e su Now Tv in prima assoluta il 25 dicembre. Arriva due anni dopo Moschettieri del re. La penultima missione, un'incursione stralunata tra le pagine di Dumas, stavolta più lirica e più profonda, sempre fedele ai canoni della commedia e dell'intrattenimento acuto.
"I tre moschettieri" ragiona Veronesi "si finisce per conoscerli attraverso certe riduzioni, quei librini illustrati d'avventure, ma il romanzo è un'altra cosa. È bello grosso, anche palloso in alcune parti, c'è tanta letteratura dentro. Da tempo ho voglia di fare film tratti da libri così. Ho altri progetti come Dottor Jekyll e Gulliver. Vorrei finire la carriera restando distante dalla realtà, non per rimanere un eterno Peter Pan, ma perché dentro questi romanzi ci sono messaggi per adulti. Dumas non è uno scrittore per ragazzi. Nel nostro primo episodio, attraverso la guerra con gli ugonotti, mi pareva che si potesse parlare di come trattiamo male gli immigrati. Stavolta c'è un tema relativo alla necessità per gli eroi di intervenire, di non stare dalla parte del torto: mi piaceva l'idea di rappresentare dei moschettieri consapevoli che il mondo cambia, che il futuro non è la monarchia, fino a scoprirsi più uomini e meno soldati".
Tutto alla fine si può fare con I tre moschettieri. Finanche Snoopy ha ricavato il suo tormentone dalla frase che apre il capitolo 65 di questo libro venuto dall'Ottocento: "Era una notte buia e tempestosa". Il libro è là sugli scaffali, lettera D, dopo Dickens e prima di Esopo. Aspetta solo di essere sfogliato da lettori infedeli. Gramsci – per dire – si spinse a vedere in D'Artagnan il superuomo di Nietzsche. La tv italiana ha avuto una parodia del Quartetto Cetra che era una delizia, con i testi di Amurri e Verde, la regia di Antonello Falqui, poi una riduzione del 1976 a cura di Paolo Poli e Giuseppe Bertolucci, una vertigine di 15 puntate, ogni giovedì, un quarto d'ora a sera. Milena Vukotic era D'Artagnan e Costanza insieme. Lucia Poli faceva Aramis e la regina, Marco Messeri un po' Porthos e un po' Luigi XIII, mentre Paolo Poli si divideva tra i panni di Athos, quelli di Richelieu e gli abiti di Milady, dandole una c aspirata alla toscana al posto della erre movibrante alla francese. Il povero regista Sequi pare fosse impazzito dietro ai due fratelli Poli, già somiglianti di loro, nel corso delle tante trasformazioni. "Chi è che sta facendo l'incappucciato?". "Sono io, Lucia". "Ma no, Lucia, tu ora sei la regina".
Sono stati moschettieri Topolino, Paperino e Pippo. Perfino Barbie a un certo punto ha avuto le sue moschettiere. Canale 5 negli anni 90 si fece prendere dalla tentazione di riscrivere il classico usando i baffi di Marco Columbro, la corpulenza di Gerry Scotti, la faccia buffa di Francesco Salvi e la sottigliezza di Teo Teocoli, dando a Iva Zanicchi la corona della regina. Umberto Smaila lasciò gli spogliarelli notturni e divenne il re. Marina Morgan passò dagli annunci gentili alla perfidia di Milady. Si favoleggiò di un tentativo per avere Giuliano Ferrara nella parte del Boia.
I Moschettieri fanno esattamente questo effetto. Non esigono alcun rispetto filologico. Quando lo Stabile dell'Aquila mise in piedi una versione teatrale, sperimentale, in 14 puntate e 120 repliche, girò la voce che Gianni De Michelis avrebbe fatto Athos e Giulio Andreotti il cardinale Richelieu. Era una bella trovata pubblicitaria. Come ne avevano avuta una 60 anni prima. Dal 18 ottobre del 1934 al 28 marzo del 1937 l'Eiar aveva mandato in onda un radiodramma di Angelo Nizza e Riccardo Morbelli che cominciò a tradire Dumas sin dal titolo, I 4 moschettieri si chiamava, più fedele alla storia originale dell'originale. La voce carismatica di Nunzio Filogamo ("Cari amici vicini e lontani, buonasera"), primo presentatore del festival di Sanremo, era quella di Aramis. Il primo grande evento pop italiano. Già allora mescolavano alla storia francese elementi e personaggi estranei. Un successo straordinario, al punto che quando il programma fu spostato dalle ore 13.05 del giovedì al pomeriggio della domenica nacque un problema con il calcio. Ci si rese conto che la gente smetteva di andare allo stadio per ascoltare la radio.
Aldo Spagnoli, direttore della pubblicità alla Buitoni-Perugina, lanciò una raccolta di 100 figurine legata alla storia e abbinata ai prodotti dell'azienda. Chi completava l'album veniva premiato con sci e racchette da tennis. Chi presentava 150 album completi, vinceva una Topolino del valore di 9.750 lire. Le figurine erano disegnate da Angelo Bioletto, illustratore per la Stampa, e avevano soprattutto un problema. A parte la Bella Sulamita, il Fine Dicitore e il Castellano Dorato, era introvabile il Feroce Saladino. Nacquero leggende. Si diceva che non venisse distribuito al Nord, e la leggenda della leggenda voleva che frotte di collezionisti settentrionali si dirigessero verso la Sicilia per trovarlo. Il programma era ritenuto controcorrente per linguaggio e contenuti. Andò a finire che il Fascismo prese a mal tollerare il fatto che il Cagnolino Pechinese fosse diventato più popolare dell'aquila imperiale e che nel Saladino si intravedesse la figura di Benito Mussolini. Un fonogramma accusò gli autori di essere "contrari allo spirito dell'autarchia". Troppi personaggi stranieri. I moschettieri per giunta erano francesi e la Francia aveva votato le sanzioni economiche contro l'Italia per la guerra d'Etiopia. Il ministero dell'Industria e delle corporazioni trovò che violasse il veto sui concorsi a premi. La Perugina andò davanti al Consiglio di Stato. Per non farla lunga: chiusero il programma.
Perciò se oggi nel film di Veronesi i Moschettieri incontrano Cyrano de Bergerac, non bisogna stupirsi. È in linea con questa grammatica della rivisitazione. "Nella realtà non si sono mai incontrati" spiega il regista "ma nella biografia di Cyrano si fa cenno a un incrocio in una locanda, nella quale vide un bellissimo ragazzo vestito da moschettiere, circondato da donne, e lui intuì che fosse D'Artagnan, evitando di andare a provocarlo. Dei moschettieri non si conosceva il volto ma le divise sì, e i nomi, e i loro spostamenti. Erano famosi come i calciatori".
Valerio Mastandrea è Porthos. Dice di portarsi dietro "un senso di colpa verso i grandi classici e i libri cavallereschi, non è che si conoscano molti diciottenni, per non dire quindicenni, che li leggono con trasporto. Io preferisco tuttora i contemporanei, a molti titoli sono arrivato in ritardo, credo che sia il retaggio di una certa formazione scolastica". Il film è un elogio della fantasia, l'arma potente che consente ogni cosa, persino di portare a compimento l'amore impossibile tra due bambini.
Una fantasia che si esercita anche in una realtà corrotta dal virus, schermati da mascherine in pandemia, come Veronesi sottolinea nelle sequenze iniziali, dove appaiono file di bambini di cui vediamo appena il taglio degli occhi, ed è una delle prime volte in cui il cinema porta sullo schermo il nostro respiro ingabbiato, la nuova normalità. Mastandrea dice che "il cinema ha sempre delegato alla fantasia dei bambini il potere di riscattare la realtà, sia quando si tratta di elaborare una perdita sia se c'è da affrontare una paura. È curioso casomai che la cosa riguardi solo loro, come se fosse scontato farne a meno una volta diventati grandi. Il mio Porthos è un ponte tra i piccoli e gli adulti". Anche lui alle prese con un amore surreale, tecnologico, fuori dal mondo, oltre ogni epoca, eppure così sentimentalmente ottocentesco.
Neppure Rocco Papaleo, l'Athos della storia, ha conosciuto i Moschettieri secondo il canone. "Non l'ho letto, me l'hanno letto. Anzi: me l'hanno raccontato. Ci pensava zia Bettina, una vicina, abitava al piano di sopra, una donna semplice ma con una sua cultura. Veniva a raccontarmi storie per ore. Io nemmeno sapevo ancora leggere. Cappucetto rosso, La bella addormentata, i Moschettieri. Poi faceva incursioni a sorpresa. Il suo pezzo forte erano I promessi sposi. Interpretare Athos è per me un cerchio che si chiude con questo ricordo".
Pierfrancesco Favino è un D'Artagnan che ha studiato tutte le versioni e le interpretazioni precedenti, sapendo però che avrebbe dovuto trovare un registro per conto suo. "Nel primo copione" racconta "D'Artagnan era descritto in maniera diversa, un ignorantone con gran talento da spadaccino. Leggendolo una volta in treno mi è venuta l'idea degli strafalcioni, di questo strano grammelot attraverso il quale guardare il mondo. Ha portato umanità al personaggio. La cosa più bella è che piace ai bambini. È come se parlasse un loro coetaneo. Ho pensato a delle soluzioni immaginando cosa avrebbe fatto mia figlia. Questo D'Artagnan mi libera da un mio certo lato pensoso, mi restituisce alla mia natura. Io sarei così, poi al contrario di Jessica Rabbit mi dipingono in un altro modo. Ho scelto di fare l'attore per seguire questa vena. D'Artagnan non ha bisogno dello studio fatto per Buscetta e Craxi, ma di preparazione fisica: coach, maestri, addestratori. È un motivo d'orgoglio dire d'essere stato un moschettiere. Per me resta una figura attuale. Ci sono supereroi che vengono dagli anni 40, penso a Spider-Man, a Topolino, e sono ancora tutti là. Perché D'Artagnan no?".
Resistere allora, D'Artagnan, bisogna resistere, come dice Mastandrea "ognuno trova il suo momento per scoprire certi titoli e certe storie, cosa leggere e quando, sui dispositivi di ogni genere, facendo l'esperienza della solitudine, o meglio della compagnia di un testo". Resistere ché i tempi sono cupi, i cosplay hanno altri eroi, e un tempo almeno i bambini si vestivano da moschettieri a Carnevale. A guardare la classifica dei costumi più venduti nel 2020 è tutta un'esplosione di Hulk e di Else venute da Frozen, ma non è mica ai Power Rangers che il bambino del film di Veronesi chiede aiuto per far battere il cuore alla sua Ginevra. Una strada allora ci sarà, ci deve essere ancora per questi vecchi eroi sgangherati e romantici che da 176 anni vengono reiventati in ogni modo. In fondo, a dirla tutta, quando veniva Carnevale, Favino lo vestivano da Charlot e Papaleo da Zorro.
Sul Venerdì del 4 dicembre 2020Original Article
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