MILANO – Il Dortmund ha Erling Haaland, classe 2000, già 10 gol quest'anno in Bundesliga e 6 in Champions: lo sfiorò la Juventus, lo vuole mezza Premier League, lo corteggia il Real Madrid. Il Real ha Martin Ødegaard, classe 1998, centrocampista sempre meno saltuario nelle apparizioni da titolare: vuole farne il grimaldello per scardinare le resistenze di Haaland e portarlo a Madrid. Invece il Milan ha Jens Petter Hauge, classe 1999, ultimo eletto tra i talenti di Pioli, e se lo tiene stretto, anche se del terzetto dei giovani campioni norvegesi in carriera è il meno famoso e il meno celebrato. Il gemello diverso migliora a vista d'occhio, ha sentenziato l'allenatore del Milan, dopo averlo lanciato con successo all'assalto del Celtic. Significa che lo schiererà ancora. La storia, un racconto nordico, forse è solo all'inizio.
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Funambolo del dribbling
Jens Petter viene da Bodø, città di cinquantamila abitanti a nord del Circolo polare artico. Ma sembra già in grado di riscaldare San Siro coi suoi dribbling, quando lo stadio riaprirà al pubblico. Intanto non si limita a scaldare il posto agli altri: appena ha la possibilità di giocare un po', si dimostra all'altezza del compito. Sembra avere già scavalcato nelle gerarchie dell'attacco Brahim Diaz, l'altro dribblatore di rincalzo, che pure, in quanto andaluso di ascendenze marocchine, parrebbe più adatto ai funambolismi e al gioco caliente. Hauge e Diaz sono i ragazzi dell'Europa League: 3 gol su 5 presenze lo spagnolo, 2 su 4 lo scandinavo, però con le ultime 2 da titolare, il che è certamente un indizio. Di sicuro la bionda ala sinistra, che col suo 1,84 ha più fisico del compagno brevilineo, mentre teneva in caldo il posto a Leao infortunato e a Rebic spostato al centro dell'attacco in assenza di Ibrahimovic, l'occasione l'ha sfruttata, eccome. Lo ha certo agevolato la compiacente difesa del Celtic (17 gol incassati in 5 turni europei), parente lontanissimo della mitica squadra del secolo scorso e con l'allenatore Lennon, inviso ai tifosi, sempre più vacillante. Ma se con la squadra scozzese – dopo averle già segnato il suo primo gol in coppa a ottobre – Hauge si è ripetuto con lo slalom alla Kristoffersen del 3-2, quello che è valso la qualificazione virtuale del Milan ai sedicesimi di finale, e con l'altro slalom dell'assist per il 4-2 di Diaz, il merito è principalmente suo.
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Maldini e lo United
In Norvegia le sue imprese calcistiche si fanno largo sui giornali e sul web: non è Haaland, né uno sciatore come i fondisti storici, Dhaelje o la Bjørgen, o Svindal e Aamodt principi dello sci alpino. Però piace, perché gioca nel Milan, squadra il cui fascino internazionale ha resistito agli stenti e all'esilio settennale dalla Champions. Piace anche il fatto che Hauge sia stata un'intuizione tardo estiva di Paolo Maldini, altro mito immarcescibile in Scandinavia. Correva il mese di settembre e il giovane Jens Petter, già corteggiato dal Manchester United che aveva mandato più volte i suoi osservatori a visionarlo, dopo avere maltrattato nei preliminari di Europa League i due Zalgiris lituani, Kaunas e Vilnius, incrociò il Milan a San Siro nel terzo turno e lo fece penare per la qualificazione al play-off coi portoghesi del Rio Ave, quello storico dei 24 rigori, crocevia di una stagione indirizzata un po' anche dal destino. Che cosa sarebbe successo, se quell'assurda serie di rigori in Portogallo fosse finita in un altro modo? E soprattutto, che cosa sarebbe successo, se Hauge, dopo avere inventato l'assist dell'1-0 del Bodø, il gol del 2-3 e l'assist del potenziale 3-3 al 92', sprecato da Saltnes, avesse trascinato quasi da solo il Milan ai supplementari? Per lui, in verità, sarebbe cambiato poco: quella sera aveva già fatto abbastanza per convincere Maldini a tesserarlo subito, bruciando la concorrenza, a cominciare dallo United: 55 milioni di corone, quantificò la stampa norvegese, 5 milioni di euro.
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La Norvegia sogna col trio
Da allora, per Hauge, tutto è andato velocissimo. Il viaggio a Milano. Il tesseramento. Le lezioni intensive di italiano, perché per fare le cose sul serio, nello sport professionistico, è meglio imparare al più presto la lingua del Paese in cui si lavora. Gli allenamenti a Milanello. Il debutto con lo Spezia, il 4 ottobre, 19 minuti. Quello con gol in Europa League, il 22 ottobre col Celtic. Gli spezzoni in campionato. Il gol nel finale col Napoli, partendo in slalom dalla solita zolla di sinistra. Era il 22 novembre, lo stesso giorno in cui il Bodø, battendo lo Strømsgodet, vinceva il primo campionato norvegese della sua storia, con un altro Hauge in rosa, Riunar, fratello minore di Jens Petter. Il quale ha sentito un po' suo quel titolo, avendovi contribuito con 14 gol. Nel frattempo l'11 ottobre, aveva anche esordito in Nazionale a Oslo, 5 minuti nel 4-0 alla Romania in Nations League. Haaland era già uscito dopo una tripletta, Ødegaard ancora prima. Ma ci sarà tempo per comporre il terzetto, che la Norvegia attende con curiosità, dopo avere mancato la qualificazione all'Europeo ed essere rimasta nella Lega B della Nations League. Ne è convinto l'allenatore Lars Bohinen, gloria del calcio norvegese, che era in campo col padre di Haaland il giorno del tormentato secondo incontro degli azzurri nel Mondiale 1994 al Giants Stadium (1-0 in 10 contro 11 per l'espulsione di Pagliuca, ingresso di Marchegiani per Roberto Baggio che dice di Sacchi "questo è matto" e gol dell'altro Baggio, Dino). Bohinen ha consegnato all'AftØenposten la sua profezia: "L'ho fatto debuttare io all'Ålesund, era in prestito, lo conosco bene. Ha fatto progressi pazzeschi, non ha paura di sacrificarsi per la squadra anche in difesa. Farà una grande carriera". Per ora l'ha sicuramente iniziata bene.
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