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“Mank”, scontro tra due narcisi

Prendo una pausa dalla serie sui sogni per parlare di un film che racconta la nascita del film. Mank, da oggi su Netflix, sta per Mankiewicz. Non John, il fratello celebre e ossequioso, regista di Cleopatra e Eva contro Eva, ma Herman, quello insofferente e autopernicioso. Siamo nel 1940 e Herman (magnifico Gary Oldman), confinato in un ranch ai margini del Mojave, la gamba ingessata per un incidente stradale, una fisioterapista tedesca e una dattilografa inglese che lo assistono, deve scrivere in due mesi la sceneggiatura del film che da noi si chiamerà Quarto potere. Un 25enne di nota insolenza e sommo genio la aspetta: Orson Welles, la Rko gli ha dato carta bianca. Tra i litri di whisky che lo porteranno alla tomba e i fumi della memoria che lo consegneranno alla malinconia, Mank scrive il capolavoro su cui Welles costruirà il prodigio.
Fior di libri raccontano funeste versioni sulla paternità di questa sceneggiatura: collaborazione? Esproprio? Vendita? Una cosa è certa: mentre Orson e Herman litigavano, lei si aggiudicò un Oscar. Con un bianco e nero di gran classe, David Fincher riesce a tirare i fili dei mille tragitti mentali che attraversano il suo film: la natura ambigua delle collaborazioni creative; le fluttuazioni fragili o arroganti dell’amore di sé; la spietata convivenza di alcol e scrittura (molti esempi, illustri e maschili: Carver, Cheever, Fitzgerald, Hemingway…).
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Mank non è un film sull’imponente Orson ma sul diafano Herman, il suo spaesamento e la beffarda autodistruzione. Giocatore d’azzardo, eterno straniero in perenne esilio, Mank è al centro essendo fuori posto. Di certo uno spostato, ma nella strana precaria condizione di essere al contempo l’insider e l’outsider. Corteggiato e reietto, è il narciso stropicciato e tignoso che inevitabilmente appassisce vicino al narciso corpulento e maliardo.
Sul Venerdì del 4 dicembre 2020
Mank sarà su Netflix dal 5 dicembre. Il Venerdì ne ha parlato anche con l'intervista a David Fincher di Paola Zanuttini e la recensione di Natalia Aspesi sul numero del 27 novembreOriginal Article

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