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M5S, torna Grillo e agita il Movimento. Di Maio sfida i dissidenti: “È in gioco il governo”

ROMA – Per quell'eterogenesi dei fini ormai connessa ai post di Beppe Grillo, il ritorno sulla scena del garante M5S voleva forse rafforzare Giuseppe Conte, ma finisce per indebolirlo. Dice, il fondatore del Movimento, che il Mes non è la soluzione ai problemi dell'Italia: è altro debito, finirebbe per peggiorare le cose. Ricorda che il presidente del Consiglio è d'accordo con questa impostazione, quasi invitasse a fidarsi di lui. Non nomina la riforma del meccanismo di stabilità, è del prestito all'Italia che sta parlando. Ma se anche l'intento fosse stato quello di sgombrare il campo da una polemica che sta dividendo i 5 stelle e su cui il governo rischia di cadere il 9 dicembre, il risultato è molto diverso.
Le parole di Grillo, infatti, fanno felici Alessandro Di Battista, che dice a Repubblica "la penso come lui"; il presidente dell'Antimafia Nicola Morra, ormai passato nel campo dei ribelli; i 50 firmatari della lettera che chiedeva al capo politico reggente Vito Crimi di posizionare il Movimento sul no alle modifiche decise dall'Europa.
Dice altre due cose, Grillo: invita a reperire risorse tassando i beni immobili della Chiesa sul territorio italiano e a pensare a una patrimoniale molto diversa da quella proposta dal Pd. "Sono d'accordo anche su questo – continua sempre Di Battista – dell'Imu alla Chiesa avevo riparlato poco tempo fa. Quanto alla tassa sui super-ricchi (del 2 per cento per chi ha più di 50 milioni di euro) sarebbe opportuno smetterla di chiamarla patrimoniale".
E così, i "dissidenti", coloro che hanno disconosciuto in gran parte il lavoro degli Stati generali del Movimento e il percorso che dovrebbe portare a una nuova leadership e a una nuova struttura, si sentono confortati dalle parole del garante. Nonostante anche Di Maio dica: "Tassare i milionari va benissimo, l'importante è non toccare la classe media" (ma si guarda bene dal parlare delle imposte alla Chiesa, come Conte del resto). E nonostante l'intento del fondatore sia tutt'altro che chiaro, perché nessuno pensa che Grillo voglia assumersi il rischio di far cadere Conte. Così, tocca a Di Maio andare in assemblea – 186 parlamentari collegati, un record che non si toccava da tempo – e spiegare che la partita non è il Mes, ma il Recovery Fund. Perché bloccare la riforma europea significa rischiare di perdere quei 209 miliardi di euro vitali per la ripartenza del Paese.
"Il voto contrario mercoledì non sarebbe contro il Mes, ma contro le comunicazioni del premier, quindi contro di lui". Sarebbe Conte a cadere, questo il messaggio del ministro degli Esteri, che conclude: "Chi lo consentirà è un irresponsabile". E ricorda come non si tratti di accedere al prestito: "Per quello servirebbe un voto del Parlamento e su questo una maggioranza non ci sarà mai".
La sola parola Mes, però, è come un incantesimo maligno per una parte ancora consistente di parlamentari grillini, sensibili alle sirene sovraniste tanto da esser pronti a rischiare il tutto per tutto. Chi non ha cariche da difendere, chi sa che in Parlamento con i 5 stelle sarà ben difficile tornare, non si farà problemi a votare no alla richiesta di Conte. Perché con 800 morti al giorno e una manovra ancora da approvare, sono in tanti a dubitare che quella delle urne sia una via percorribile.
È questo il rischio davanti a cui si trova la maggioranza, per un suo difetto congenito: un pezzo di Movimento ancora avviluppato dentro teorie cospirazioniste e anti-europee (tra i firmatari anti-riforma c'è, neanche a dirlo, il senatore Elio Lannutti). Così, gli stratagemmi che si stanno mettendo in campo per ridurre il numero dei 50 a "massimo 15", questi i conti dei vertici ieri sera, rischiano la cosiddetta "buccia di banana". Affidarsi a possibili diserzioni d'aula o alla probabilità che arrivi, nonostante la decisione contraria di Silvio Berlusconi, l'aiuto esterno di un pezzo di Forza Italia, significa rischiare l'incidente parlamentare e continuare a rimandare un problema che non può che riproporsi. Del resto, di soluzioni stabili non se ne vedono all'orizzonte.
Le parole di Grillo sono troppo estemporanee per indicare una strada. La scelta della nuova leadership pare slittare a gennaio, visto che ancora si deve votare, la prossima settimana, il documento programmatico uscito dagli Stati generali. La rissa con Davide Casaleggio è tutt'altro che risolta e il tentativo di dialogo tra Di Maio e Di Battista – tra i due c'è stato un contatto dopo mesi di gelo – non sembra andato a buon fine. "Le posizioni restano molto distanti", dice chi ha parlato con entrambi. Se quello di Grillo voleva essere un tentativo di mediazione, bisognerà che si impegni molto, ma molto di più.
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